sabato 29 dicembre 2012

La Quota femmina

 





Non ho mai pensato di chiedere a un’autorità superiore di risolvere i miei problemi di donna nella relazione con la società civile. Mi sono sempre presa la responsabilità delle mie defaillance professionali e sociali. Mi sono sempre presa la mia responsabilità delle mie sconfitte ma anche delle mie vittorie.  Non chiederei mai a una legge di aiutarmi ad essere inclusa in un organismo societario. Come non chiederei mai a un arbitro esterno di risolvere un problema con il mio uomo. Stiamo raggiungendo dei livelli parossistici nell’imporre certe forme di rispetto con mezzi improponibili mentre il rispetto non può che partire dalla persona che ne richieda l’applicazione. Stiamo raggiungendo delle situazioni penose sia per quanto riguarda il rispetto dei bambini ma anche di tutte le altre categorie “deboli”. Sembra quasi che questa pseudo cultura etica di tutela normativa vada in una direzione talmente staccata dalla realtà da sembrare un qualcosa di veramente spocchioso e arrogante. Più è bassa la tutela delle persone nella loro realtà concreta, che sia la famiglia, il genitore, il partner, il collega, più sembra ritenersi necessario stabilire una norma “stringente” per proteggerlo. Non esiste più nessuna forma di “educazione” dell’individuo, perché si è sgretolato un sistema che fino a circa 40 anni fa era piuttosto strutturato. Ora non lo è più grazie alla esplosione di culture “alternative” che senza arricchire o “aggiornare” il vecchio sistema educativo lo hanno invece voluto “disarticolare” e scombinare senza creare un sistema alternativo altrettanto valido. Se incontriamo una persona “educata” è un evento incidentale; la parola “educazione” infatti risulta senza dubbio “obsoleta”. Quando il femminismo ha preso piede, negli anni 70, io sono stata una giovane sostenitrice di queste battaglie. L’ho fatto con molta sincerità perché ero e sono tuttora convinta che fosse necessario rompere certi schemi ingiusti e stupidi. Mancanze di rispetto, mancanza di riconoscimenti al proprio valore, mancanza di libertà in certe scelte e situazioni importanti come fosse ad esempio la scelta di tenere una vita in grembo piuttosto che dolorosamente decidere di interromperla. I contenuti spesso non coincidono con la forma. Questo a mio avviso è stato il problema di molte rivoluzioni, anche di quelle politiche e sociali. Nel metterle in pratica è successo un qualcosa per cui molti principi hanno preso una strada sbagliata, la realizzazione concreta di certe idee, partendo da una base bella e idealistica si sono trasformate in qualcosa di “mostruoso”, di "squallido", di "orribile".  Gli individui non sanno gestire con giustizia la loro evoluzione e i loro cambiamenti.  Devono “strafare”


Torniamo alle “quote rosa”. Il potere è potere. Se  una donna vuole esercitare un  potere lo può fare in molti modi. Attraverso la politica, attraverso la cultura, attraverso la “violenza”. Io mi sono resa conto più volte che volevo sopraffare il mio uomo con la forza della ragione, della mia intelligenza, della mia sensibilità. Tutto questo ha avuto un effetto relativo perché la propria credibilità non passa attraverso delle strategie strumentali, bensì attraverso qualcosa di molto più nobile e profondo: la purezza dei propri intenti, la qualità dei propri contenuti, l’apprezzabilità dei propri “prodotti”, la forza della propria bellezza interiore. Quando ho vinto è stato perché non ho imposto la mia aggressività bensì la mia qualità.



 
Come sostengono le filosofie orientali nelle quali ricorre il simbolo del loto, che rappresenta la causa e l’effetto in intima connessione,  la nostra vita procede e ne siamo principalmente noi i protagonisti, artefici e responsabili, per cui molte situazioni che ci troviamo ad affrontare sono il frutto di questo bagaglio di esperienze che noi per primi abbiamo contribuito a costruire. Questa mia ineffabile fiducia e profonda consapevolezza nella “causa” e nell’effetto, mi danno la sicurezza di ritenere queste cosiddette “quote rosa” la più grande truffa e forzatura del secolo. Questa è vera violenza, non diversamente da quella violenza che le donne subiscono dagli uomini. Questi strumenti sono della stessa pasta e non fanno che trasformare la relazione tra donne e uomini in un problema preso in mano da qualcuno che “con la forza” pensi di risolverne gli equilibri e di ripristinarne le dissonanze. Io mi rifiuto categoricamente di accettare l’idea che imporre delle quote in organismi di società di grande o media o piccola dimensione, di istituzioni pubbliche o di quale che sia il livello possa essere utile a una crescita o a un cambiamento nelle relazioni tra donne e uomini, o alla funzione delle donne nel nostro tessuto sociale. Chi sostenga una tesi contraria è assolutamente fuori da ogni ragionevole principio di evoluzione della credibilità femminile nel rapporto con il sesso maschile e verso la società intera. Io credo ancora che la donna possa esprimere le proprie qualità attraverso le sue caratteristiche peculiari femminili e non attraverso un’acquisizione “per diritto” di certi spazi. Bene fanno gli stati del Nord a non avallare. Bene la Merkel a insistere sulla determinazione a livello “nazionale” di certe problematiche.  L’uomo è uomo, la donna è donna. Nell’insieme, siamo “persone”. E come tali ci possiamo far valere e apprezzare nella vita. Questa è la nostra “rivoluzione”



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