mercoledì 22 dicembre 2010

Un Natale "Da Grandi"


L’inverno parla con la mia nostalgia, io amo l’inverno. Amo il freddo, il senso di intimità, il calore che si sviluppa e si genera nell’anima quando penso alla neve e agli indumenti con cui mi posso proteggere e coprire, amo i miei cappotti, i miei cappelli, le mie sciarpe, i miei maglioni. Amo pensare a quelle giornate un po’ grigie, nordiche, senza pioggia e senza sole, a quanto può essere riflessivo e romantico passeggiare in una tersa giornata di freddo secco e pungente e di sole. Queste sensazioni mi riportano indietro, a quando ero una ragazzina un po’ ermetica e un po’ malinconica, ma che sapeva divertirsi, giocare e ridere come nessuno. Come nessuno perché quando ridevo non era niente di scontato, di reiterato e di gratuito. Ridevo con tutta me stessa, con tutta la mia vita; il mio humor, la mia ironia nel vedere il lato comico delle situazioni, facevano dei miei divertimenti un insieme, un movimento interno indissolubile di riso e sorriso. Queste emozioni erano giovani e appartenevano a un mondo che non esiste più. Certo non era un mondo idilliaco. Erano gli anni in cui era emersa e diventava sempre più esplosiva una tendenza a rifiutare il mondo così com’era. E anch’io ne fui toccata. La mia inquietudine si sposò con quell’inquietudine un po’ petulante, un po’ presuntuosa, un po’ arrogante, un po’ violenta e alla fine un po’ assassina. Il tempo.

Quando si avvicina il Natale riemergono tante di queste emozioni, così impetuose e così invadenti che me ne difendo, rendendomi faticoso il volerle contenere e ordinare. I sentimenti, almeno i miei, sono aggressivi, e diventano qualcosa che viene da dentro e viene anche da fuori, qualcosa che non colloco, qualcosa che non mi sembra più qualcosa che ho creato io, che venga dalla mia sensibilità, dalla mia interiorità. Mi ricordo quanto era bello attendere quella notte…. Ognuno di noi aveva la capacità, la voglia, la fantasia, di trovare un regalo che poteva piacere a ogni persona. Forse eravamo più capaci di sentire le esigenze delle altre persone, eravamo più capaci di amare, eravamo più pazienti, più attenti, più curiosi. Poi siamo diventati sempre più egoisti, più pigri, e abbiamo cominciato a chiedere il regalo che volevamo, e a domandare agli altri quale regalo volessero. Nei pacchetti non c’erano più sorprese, e quei pochi pacchetti sconosciuti contenevano delle schifezze, naturalmente uguale per noi e per gli altri. Quanto possiamo capire da un regalo che riceviamo quanto la persona ci capisce, ci ama, ci tiene a noi, ci stima.

Allora ogni volta che arriva Natale mi sento di dispormi sempre di più a capire dove sta andando la mia vita, e dove sta andando la vita del mondo. A volte mi sembra di capirlo, a volte no. E mentre sto pensando così male di tutto, di come è diventata superficiale la gente, egoista, stupida, cafona, senza sentimenti, senza valori veri, e indisposta a voler realmente lavorare di creatività e di faticare veramente per fare uscire e produrre qualcosa di grande valore; allora mi dico che non vorrei pensare così in negativo, che vorrei essere la prima a pensare che tutti hanno qualcosa di bello e di buono e delle grandi e invisibili potenzialità. Per questo vorrei essere io per prima a dare fiducia a tutto il mondo e a tendere una mano a chi vorrebbe essere migliore e non sa che è possibile esserlo e che si può riuscire ad esserlo.

Per questo voglio festeggiare con tutti questo Natale, come se intorno a quell’albero ci fosse tanta altra gente e forse tutto il mondo, e fare un augurio a tutti perché anche se non è possibile essere fisicamente insieme, quella sera è come se lo fossimo, in fondo stiamo facendo tutti qualcosa di simile. Stare con le persone e sentire il loro valore, apprezzare realmente le persone che abbiamo vicino, il fatto di esistere, e di esistere con loro, di poter parlare e ridere insieme. Ritrovare noi stessi e gli altri, insieme con più profondità, più rispetto, più affetto.