venerdì 19 dicembre 2008

Sotto L'Albero: I 33 giri della Mia Vita

Ho pensato che per Natale ogni augurio può sembrare scontato; in fondo il Natale sta diventando una festa vuota e convenzionale ed ogni anno ci si sforza di rinnovare la sensazione bella che vi è legata magari dall’infanzia o a quando il mondo sembrava (dico “sembrava”, mi posso sbagliare, ma non credo!) migliore. Allora ho pensato di mettere sotto l’albero tutti (o quasi) gli album/lp che nella mia vita sono stati importanti. Mi rendo sempre più conto, anche da sola, che questi album sono legati a sensazioni mie di quel momento, alle persone che incontravo, allo spirito del periodo, o almeno come lo sentivo io. Per cui so con certezza che le sensazioni che davano a me, che in certi casi erano fortissime, con la massima probabilità non le hanno date o non le daranno a voi. La sensibilità è una delle variabili assolutamente indefinibili, dipende dalla singola persona e da una marea di altri fattori. E il protagonista dei questo post è l’lp, il vinile, poi spiegherò comunque perché. Questo mio viaggio, che è un viaggio nella mia vita, sottintende un invito all’acquisto, con la mente, tutta vostra, che deciderete di avere. Cd ristampa, se c’è, o vinile da collezione.
Nella mia famiglia si sentiva sempre molta musica e la musica era il centro dell’energia. Un pianoforte (e non solo) era sia nella casa paterna che in quella materna. In casa gli lp si cominciarono ad acquistare nel 1970, con l’avvento dello stereo, e l’entrata a casa mia di un impianto di un certo livello.
Non è un caso che vorrei iniziare con MINA, un’antologia, la capostipite dei suoi “Del Mio Meglio”, il n. 1, una splendida confezione cartonata da aprire in tre sezioni, con 3 abiti d’epoca, senza testa, con l’unica testa, sempre la stessa, che è sotto, ed è la testa dell’unica vera foto di Mina, a cui si arriva alla fine, l’ultima figura di questa strana scatola cinese insieme al disco. Certo sul cd tutto questo non esiste. Splendido lp, prima parte dal vivo, vere perle cantate alla Bussola, SE STASERA SONO QUI, LA VOCE DEL SILENZIO, ma, la più toccante, una VEDRAI VEDRAI tirata e cantata come nessuno aveva fatto fino a quel momento. Sul retro le più belle, e dico belle, canzoni del periodo, e parlo di INSIEME, BUGIARDO E INCOSCIENTE, NON CREDERE, ecc. Un disco semplice e meraviglioso. Ma le perle di quel momento erano soprattutto EMOZIONI di Battisti, con quel sound tipico “Ricordi”, che ascoltavamo in penombra, attoniti (io avevo un certo odio per la voce e il personaggio Battisti ma un amore viscerale per le sue canzoni), quasi tutta la mia famiglia (tranne mia madre sempre molto per conto suo). Mia madre riappariva non appena sul piatto cominciava a girare un disco della Barclay, e le note della bella "Devi sapere", E FU SUBITO AZNAVOUR. Dagli USA per il Natale 70 i nostri zii ci avevano spedito due dischi FRANK SINATRA e MANTOVANI. Due dischi meravigliosi che tuttora ascolto con la medesima emozione (con la differenza che i miei 12 anni amplificavano tutto!). Potrà sembrare strano, ma nel 1971, uno degli album che ascoltai di più era proprio l’omonimo “Nicola Di Bari”, la sua enorme foto in uno sparato primo piano (ma come negli anni 60 anche sui dischi delle cantanti brutte mettevano delle belle donnine, ora gli anni 70 vogliono il “mostro” in prima “pagina”), l’album era uscito subito dopo il suo Sanremo vittorioso (IL CUORE E’ UNO ZINGARO) ed era veramente piacevolissimo, con picchi di grande intensità, in particolare la grande CAPIRO’, la bellissima I’LL BE HOME di Randy Newman. Non si spiegherà mai facilmente il così grande successo di Michele Scommegna, fino a qualche anno prima personaggio di tappezzeria, e dal 70 al 72 dominatore assoluto della scena sanremese, nonché vincitore a sorpresa della Canzonissima 71. L’unica spiegazione è la grande intensità del personaggio, semplice, melodico, direi anche ottimo interprete. A parte la nostra spregevolezza di pubblico italiano usa e getta (in Sudamerica gli sono stati molto più fedeli) lo considero un grandissimo (e penalizzato al massimo) alla stregua di Mimì Bertè.
Altri album recuperai molto tempo dopo, per un mio interesse non materializzato in quel periodo. Ad esempio l’album della Pavone prima del passaggio di nuovo in RCA, RITA 70, mi piace molto, sia (e daje) per l’inconfondibile sound RICORDI (vedi Battisti), sia perché rappresenta per me la diga tra la vecchia Pavone ormai in crisi di contenuti, di pubblico ed estetica (vabbè sorvoliamo …) e la nuova Pavone RCA dal Sanremo 70 al Disco Estate 73. Questa Pavone covava una trasformazione molto profonda che sarebbe arrivata, e che sicuramente è stata molto frenata dal marchio di infamia che anche i suoi collaboratori non mancavano di trasmetterle. Questa evoluzione sarebbe stata molto significativa, se, ad esempio, le avessero lasciato pubblicare l’album PASSAGGIO, veramente interessante e… d’autore. Poiché considero la Pavone (al di là delle sue piccole espressioni antipatiche) una delle nostre più grandi artiste, considero questo una sorta di delitto per il quale sarei disposta a fare delle indagini e punire i colpevoli (e fu così che ad essere condannato fu Teddy Reno…).
I tempi tuttavia cambiavano. Oltre alla sensibilità musicale, cambiava il rapporto con il denaro e con i sentimenti. 1972. Mia Martini, che in RCA, non ho paura di dirlo perché c’era di mezzo Baglioni, tirò fuori qualcosa di quasi lugubre, in RICORDI fu valorizzata in una maniera impeccabile; probabilmente nell’ambiente della casa discografica milanese circolavano già numerose energie, i fratelli La Bionda, Baldan Bembo, Maurizio Piccoli, Bruno Lauzi, Maurizio Fabrizio, ecc. tutte queste persone riuscirono a creare intorno alla cantante un genere musicale sicuramente all’altezza della migliore canzone d’autore internazionale, da Elton John a Carly Simon, passando da John Lennon, l’album NEL MONDO UNA COSA, anche spinto dalla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, era veramente fruibile per intero, senza buttare nulla, anche le canzoni minori si ascoltavano con piacere. Intorno a lei in quel momento imperava il progressive. In TV nel 1974 passava clandestinamente in televisione l’Orfeo 9 di Tito Schipa Jr. Io che già ero abbastanza galvanizzata dai vari “Jesus Christ” e “Tommy”, rimasi talmente colpita dalla cosa, forse perché italiana (senza immaginare ad esempio il futuro boom di Renato Zero e l’amica Loredana) che la divorai per mesi, registrata su una musicassetta dalla tv. Ricordo che trovai il doppio disco solo anni dopo, quando un ragazzo decise di lasciarmi proprio la mattina del 31-12-76, andai di corsa a comprarmi il disco in chiusura di negozi e passai la notte di capodanno sparandomelo in cuffia. Forse è stato uno dei miei capodanni più interessanti... Nel frattempo tre perle avevano scosso la mia mente musicale un po’ patetica e provinciale: THE DARK SIDE OF THE MOON (Pink Floyd), PICTURES AT AN EXIBITION (Emerson Lake & Palmer), e ROCK’N ROLL ANIMAL, live di Lou Reed. Sul primo non si può immaginare che quella che adesso si può definire una “bella musica”, in quel momento, cioè nel 73-74, era qualcosa di veramente esplosivo e invadeva l’anima. Pink Floyd significava farsi travolgere da un’ondata emotiva. In quel momento il gruppo veniva da esperienze veramente e fortemente psichedeliche. Ora sembra che si parli solo di un business.
PICTURES era un ascolto meraviglioso, la voce di Lake, le tastiere di Emerson, la bravura di Palmer, era affidarsi sia all’emotività che al dominio della tecnica. Preferivo questo strano lp, che rielaborava una composizione classica, agli album istituzionali del trio, comunque anche molto belli. LOU REED era splendido in quest’ambiguità così corrotta, specialmente in HEROIN, mi sentivo trascinata in un mondo particolare del quale sentivo fortissimo il fascino. Anni dopo (come in seguito dirò) avrei recuperato tutti i Velvet Underground.
Da non trascurare in questo periodo fu il David Bowie, certo inimitabile nei suoi album più belli (Ziggy, Space Oddity, ecc.) ma il mio album preferito fu PIN UPS, senza pari, uno dei più begli album di cover che io abbia mai sentito; splendida scelta dei pezzi, soprattutto attinti dal beat di metà anni sessanta; il mio preferito SEE EMILY PLAY dei vecchi PINK FLOYD, ma anche FRIDAY ON MY MIND degli Easybeats. David Bowie li personalizza ma gli infonde una carica così particolare ed energetica, insieme ad un fortissimo fascino. Di palo in frasca improvvisamente, senza che io la conoscessi, mi bussò in casa una certa Gloria Gaynor che tenni tirata a tutto volume per mesi con il suo mix dei tre pezzi splendidi “Honey Bee-Never Can Say Goodbye-Reach Out I’ll Be There”: ero da Ricordi a Via del Corso, chiesi che cos’era la musica che si sentiva e comprai il disco. Anche la musica italiana, quella che in quel momento era la “nuova musica” italiana, aveva il suo spazio: bellissimo il “Theorius Campus” di Venditti/De Gregori, bellissimo il Parsifal dei Pooh, bellissimo il Branduardi RCA (capolavori Re Di Speranza, La Luna, Confessioni di Un Malandrino, Tanti Anni Fa) ma io fui galvanizzata dal successivo ALLA FIERA DELL’EST su Polydor (e siamo nel 1977). Lucio Battisti col suo LA BATTERIA , IL CONTRABASSO restituì fiducia nel tempo che passa e nella musica che, cambiando, resta di altissima qualità. Intanto, una sera senza far nulla, in radio, sentii un intero lp di una cantante americana, con una voce tonda ma un po’ roca e malinconica, canzoni bellissime e delicate, telefonai in radio ed era Melanie Safka e l’album era THE GOOD BOOK. Lo cercai per anni, intanto comprai tutti gli altri album di Melanie che trovavo e me ne saziai. Il più bello era senz’altro STONEGROUND WORDS del 1972, bellissima TOGHETER ALONE. Alla fine, in un negozio improbabile, carissimo e poco frequentato, in Piazzale della Radio, trovai anche “The Good Book”.
Poco dopo e parliamo del 1976, erano anni molto caldi. A Roma e in tutta Italia, un po’ penso come nel ‘68, si percepiva un clima di inquietudine, nella vita, nella politica e nella musica. A Londra col punk il rock riacquistava una vitalità e un significato particolare. Sex Pistols, Siouxsie, e altri stranissimi individui rappresentavano una nuova forma di singolarità. Dall’America un’artista, neanche tanto giovane, a capo di un gruppo di punta, si riagganciava alla tradizione di alcuni gruppi rock americani che dopo il 1965 avevano scolpito nella pietra e tradotto in musica un costume e un modo di vita, tra sesso, droga ed un estetismo dissacrante: Velvet Underground, Doors, e di seguito, più ancorati rispettivamente al rock psichedelico e al rock blues, Jimi Hendrix e Janis Joplin. Patti Smith, associando musica e poesia, dal recitato e parlato al cantato e urlato (e anche stonato, perché no), esplose in tutto il mondo rinnovando l’amore per il rock nella musica e nella vita. Il mio album preferito inizialmente era proprio il più buio, RADIO ETHIOPIA, ma col tempo non potei non riconoscere la grandezza del primo lp, HORSES, con la bellissima copertina di Robert Mapplethorp, e le stupende REDONDO BEACH, KIMBERLY, FREE MONEY, GLORIA dei Them, per nominare solo le migliori. Allo stesso tempo fui risucchiata da quelli che erano i miei arretrati, e fu un grande amore per il primo lp dei Velvet Underground & Nico, con la famosa … banana, innamoramento in cui recuperai il vero Lou Reed ed iniziai un amore per l’enigmatica Nico e il suo harmonium; impareggiabili SUNDAY MORNING, I’LL BE YOUR MIRROR, VENUS IN FURS; dei Doors col primo lp, e le bellissime BREAK ON THROUGH, ALABAMA SONG e manco a dirlo, forse sfruttatissima ma sempre splendida, LIGHT MY FIRE; Janis Joplin, sempre indominabile, e quindi alla fine impossibile da valorizzare veramente, ai vari lp ho sempre preferito il Greatest Hits, molto efficace e molto bello. Presenti tutte le sue più belle esecuzioni, da PIECE OF MY HEART a CRY BABY, da ME AND BOBBY MC GEE a SUMMERTIME. Nel contempo la mia attenzione era anche rivolta alla California e a prodotti come Jefferson Airplaine, e in particolare Jorma Kaukoneen, a Crosby-Stills-Nash ma in particolare a Neil Young; ma soprattutto, essendo la meno allineata, a Joni Mitchell. Nel passaggio, che era anche Italiano, di certo progressive al jazz-rock, come nel caso degli Area, fu un grande turbamento sentire Joni Mitchell, così cantautrice sul finire dei sixties, spostarsi su una lettura dei suoi brani in chiave jazz. Ancor prima di HEJIRA, passando per DON JUAN’S RECKLESS DAUGHTER, l’approdo a MINGUS con la “santa” benedizione del live SHADOWS AND LIGHTS, uno degli album più belli delle mia vita. HEJIRA tra i quattro resta comunque il mio preferito per essere il primo vero riferimento per i successivi, COYOTE, AMELIA, FURRY SINGS THE BLUES, BLACK CROW, stupende canzoni che non sarebbero tali senza il tocco magico del grande Jaco Pastorius.
A cavallo tra i 70 e gli 80, i miei ascolti furono copiosi ma alla fine, avendo anche da bambina il vizio di girare abbracciata al cuscino (e guai a togliermelo), le cose che veramente salverei per qualità e originalità non sono poi così tante. La prima, un po’ kitch, è proprio quella strana Lene Lovich, che, malgrado non si possa annoverare tra i mostri sacri del secolo, mi conquistò inizialmente per una certa somiglianza vocale con Patti Smith, subito superata dalla scoperta di tutta l’originalità retrostante: elettronica con sonorità sixties (un po’ Shadows) in particolare ad opera di Les Chappel, suo marito calvo, chitarre sintetiche e ben allineate, la voce di Lene Lovich, tonda, è usata come uno strumento e raggiunge dei virtuosimsmi impensabili, note altissime, insieme al sax suonato dalla stessa cantante, il tutto con una spolverata di atmosfere che evocano l’Europa orientale. La cantante infatti mi sembra che avesse tali origini da parte paterna. STATELESS è l’album che metto in mostra, i pezzi migliori HOME, LUCKY NUMBER, SAY WHEN, I THINK WE’RE ALONE NOW cover di Tommy James & The Shondells. Dal vivo la cantante era, oltre che perfettamente aderente al disco, anche nei passaggi vocali più complicati, assolutamente godibile. La sua amica/concorrente Nina Hagen fece anche lei due buoni primi album, con un gruppo eccellente che sembra gli fosse stato imposto dalla CBS; si trattava del “Lokomotive Kreutzberg”, un gruppo rock politicizzato, ma tecnicamente perfetto e con un sound bello e robusto; con lei divenne “NINA HAGEN BAND”che è anche il nome dell’album. Questo primo album lo consiglio perché è veramente interessante, bella TV-GLOTZER (cover di White Punks On Dope dei Tubes; belli anche i Tubes!!). Il secondo (UNBEHAGEN) non è male, ma è da menzionare principalmente perché la Pavone spesso cita, tra le sue “gesta”, il fatto che la Hagen vi incise il suo WENN ICH EIN JUNGE WAR (qualche anno dopo il gruppo rimasto orfano della cantante, col nome di SPLIF incise la canzone CARBONARA).
Sempre “donna” direi che furono le cose migliori di questi anni; il grande ritorno di Marianne Faithfull, completamente trasformata nella voce dai tempi degli Stones, con il bellissimo BROKEN ENGLISH (1979). Niente male e forse lo preferivo, il seguente e più leggero DANGEROUS ACQUAINTANCES (1981), nonché il successivo A CHILD’S ADVENTURE (1983). Fa pendant con la Faithfull, per la medesima mente (Chris Blackwell) e in comune lo staff di compositori, i tre album di GRACE JONES, WARM LEATHERETTE, NIGHTCLUBBING, LIVING MY LIFE, uno più bello dell’altro.
Degli stessi anni, primi anni 80, sono due album inglesi; NICO – DRAMA OF EXILE, album che la ripropose dopo anni di silenzio musicale e di droga (intanto faceva film col suo Philippe Garrell) con un repertorio “elettrico” niente male, se non fosse che lei disconobbe l’album perché pubblicato a tradimento con un’azione di pirateria discografica, tant’è che il singolo che pubblicò in contemporanea con un’altra etichetta in effetti aveva un sound molto più bello (Saeta/Vegas). Interessantissima, almeno per i miei gusti, la prova di Judy Nylon, poliedrica artista, compreso attrice, inglese, con PAL JUDY.
Da questa panoramica degli anni ottanta non posso risparmiarmi di parlare di REMAIN IN LIGHT, dei Talking Heads, che non posso non definire un’opera d’arte; frutto della genialità di Brian Eno e David Byrne (che avevano fatto le prove generali in “MY LIFE IN THE BUSH OF GHOSTS”, loro album privato). Una vera orchestra elettronico funky, nella quale il gruppo storico rimase sommerso, decorata da talenti di un certo livello, Nona Hendrix, Adrian Belew, Jon Hassel, Robert Palmer.

Di Nona Hendrix suggerisco, ma non penso esista in cd, il suo album migliore, omonimo, del 1982, ottimi pezzi, tra i quali spicca DESIGN FOR LIVING nel quale tutte insieme l’accompagnano, Tina Weymouth, Laurie Anderson, le Heart, Patti Labelle e Dolette McDonald, sue ex colleghe.
Quattro album di cover assolutamente differenti furono tra i miei album preferiti tra il 1982 e il 1990. Il Primo si intitolava BEF – Music Of Quality And Distinction, dietro il quale lavorarono gli Heaven 17. Fu l’album che offrì a Sandie Shaw l’occasione di un rilancio con “Anyone who have a Heart”, insieme a Tina Turner, Paul Jones, Gary Glitter, Paula Yates (ai tempi partner di Bob Geldof) alle prese con cover di pezzi strafamosi, BALL OF CONFUSION, THERE’S A GHOST IN MY HOUSE, SUSPICIOUS MINDS, THESE BOOTS ARE MADE FOR…, YOU KEEP ME HANGING ON, ecc.
Il secondo, che fu il primo di una serie molto riuscita, era THIS MORTAL COIL, della inglese 4AD, con in primo piano Elizabeth Frazer dei Cocteau Twins, Lisa Gerrard dei Dead Can Dance e Howard Devoto dei Magazine. Canzoni meravigliose, in particolare SONG TO THE SIREN di Tim Buckley, HOLOCAUST e KANGAROO di Alex Chilton.
Il terzo era prodotto da Hal Willner (precedentemente aveva pubblicato “Amarcord Nino Rota” e successivamente un album dedicato a Thelonious Monk): THE MUSIC OF KURT WEILL. Grandissime partecipazioni: Marianne Faithfull, Sting, Stanard Ridgway dei Wall Of Wodoo, Richard Butler dei Psychedelic Furs, Lou Reed, Tom Waits, Aaron Neville, Todd Rundgren, Carla Bley e tanti altri… Bellissimo disco.
Il quarto RED HOT & BLUE - A TRIBUTE TO COLE PORTER. Neanche a parlarne, nomino solo i miei preferiti: Sinead O’Connor, Neneh Cherry (che seguivo dai tempi dei Rip Rig & Panic), Tom Waits, David Byrne, Neville Brothers, Lisa Stansfield, Annie Lennox, Debbie Harry, Iggy Pop, ecc. ecc. ecc.
Non da ultimo inserirei, per finire i miei anni ottanta, Julian Cope, ex "Teardrop Explodes", grande psichedelico, bellissimo il suo WORLD SHUT YOUR MOUTH (sul quale cantavo a squarciagola come una pazza) e il grande Terence Trent d’Arby, peccato troppo megalomane (ed evidentemente debole) non ebbe un gran seguito; la sua voce calda e graffiante, i pezzi del disco INTRODUCING THE HARDLINE… uno più bello dell’altro. Forse voleva dare solo una lezione a Michael Jackson.
Infine, Toni Childs; un’artista che è rimasta un’enigma, forse un personaggio alla ricerca di un’identità; nel passaggio dal primo al suo terzo album diventa sempre più oscura, fino a uscire di scena. Bello, veramente bello il suo UNION, dove ho sentito la grinta del migliore pop-rock e la musica africana presa nella sua lettura più dolce.
A fine anni ottanta, ho recuperato anche due grandi artiste inglesi dei sessanta con due dischi in italiano, Sandie Shaw su Linea Tre e Petula Clark su Penny Oro. Da pochi anni la Shaw è stata ripubblicata in quasi tutte le lingue in cui ha cantato (spagnolo, tedesco, francese); in italiano il cd si intitola “La Cantante Scalza”. Petula Clark in italiano attualmente è solo su etichetta Bear Family in un cofanetto che si intitola “The International Collection”. Da lì è di nuovo esploso il mio amore per gli anni sessanta.
Concludo questo post, con due sconosciuti italiani, due cantanti che pur avendo partecipato a qualche Sanremo con nuove proposte sono alla fine rimasti out. Il primo è Teo, che è stato a Sanremo nel 1987, e che aveva tentato di promuoversi pubblcizzando un flirt con Benedetta Crocco. Il suo album QUANTE VOLTE MI SONO VOLTATO A GUARDARE IL CIELO, essendo i pezzi dei fratelli Castellari, era assai gradevole e l’ho ascoltato abbastanza. Voce alla Lloyd Cole. Il secondo era Stefano Ruffini, una bellissima e ampia vocalità, scoperta di Grazia Di Michele, ha fatto i Sanremo 1988 e 1989, una persona piacevolissima, andato via in un modo assolutamente silenzioso.