mercoledì 23 dicembre 2009

La Vita A 45 Giri: Regine e Befane (1962-1991)


-->PRIMA PARTE (1963-1971)

Anche se questa festa sembra diventare di anno in anno meno significativa, io la vivo sempre in modo significativo. Sarà che ho un’età in cui si rischia di vivere di ricordi e di rimpianti, e la memoria se ne va a quel paese. A volte qualche amica mi dice “Ti ricordi quella certa situazione???!” o quella certa persona … e io… boh!!! Il nulla. Così di contro le emozioni non hanno età né memoria e la maggior parte delle cose che mi ricordo è perché mi suscitano un’emozione incancellabile. In molti casi non si tratta di situazioni che meriterebbero di essere ricordate, perlomeno agli occhi degli altri, ma a me, spesso non capisco il motivo, sono rimaste impresse! In particolare al disco, questo strano oggetto (!!!), e a quello che contiene, sono legate la maggior parte di queste emozioni che hanno “memoria”. Fin da bambina infatti l’amore per la musica crebbe con me, e così per i dischi che chiamavo, non so perché, “tititte”. Mio padre aveva moltissimi 78 giri, penso anche di un certo valore, che io cominciai sistematicamente a insidiare e ad uno ad uno, frantumare. Mio fratello, che aveva una certa disposizione per il commercio (ogni tanto in casa spariva qualcosa, oggetti, libri, ecc.) decise con mio padre di andare a Porta Portese e di venderli prima che io completassi la collezione. In casa, oltre a un mobile bar in radica con piatto Lesa incorporato e grande radio appoggiata sopra, avevamo un registratore a bobine “Geloso”. Entrambi sono riuscita a traghettarli fino alla nostra epoca (anche se del primo è rimasto solo il “mobile”) e fanno parte dell’arredamento del mio salotto, insieme ad un pianoforte e a un grammofono. Perché il salotto è fatto per gli ospiti speciali e la musica per me lo è sempre stata. Il “Geloso”, in particolare, baipassava il vinile, e riusciva ad aspirare di tutto da radio e televisione, attraverso le abili mani di mio padre all’inizio, per i vari Sanremi registrati in diretta televisiva, e poi delle mie sorelle che se ne appropriarono facendone una sorta di arma di potere generazionale, registrando canzoni sempre più … “giovanili”. Questa forma di “ribellismo” in realtà lasciò il tempo che trovava perché mio padre non era tipo da lasciarsi rinchiudere in un clichè di uomo maturo, anzi…. e si mostrò quindi sempre aperto ai cambiamenti nella cultura e nella musica. Così le figliette non ebbero vita facile nel cercare di mettersi su un gradino un po’ più in alto di lui. Dal Geloso, avevo 5 anni ed era il 1963, uscivano le note di MAMALUK, canzone che mi galvanizzava, forse perché un po’ arcigna e un po’ spavalda; il disco che ho è un regalo recente di un caro amico a cui avevo raccontato la cosa. Le altre canzoni più ascoltate erano HEY PAULA di Paul & Paula, CITTA' VUOTA cantata da Mina, TOWN WITHOUT A PITY di Gene Pitney. Io non mi sono mai sentita “bambina” e non mi sono mai realmente resa conto del mio stato, né ho mai avuto il desiderio di ascoltare canzoni “per bambini”. Vivevo tra persone più grandi e mi sentivo come loro, né loro mi hanno mai trattato come si trattano veramente i bambini (a parte quando… “rompevo”); ad esempio guardavo lo Zecchino d’oro con sufficienza e nessuno ha mai osato regalarmi un disco
della famosa gara canora bambinesca. Piuttosto SANREMO. In tempi recenti, mi è capitato di acquistare una raccolta di SANREMO 65 (di quelle “fasulle”) e di molte canzoni che non conoscevo mi piacque in particolare DEVI ESSERE TU di Ricky Gianco, che mi sembrava di non conoscere. Poi in un momento di follia ho deciso di riascoltare e duplicare su un supporto “contemporaneo” tutte le pizze del Geloso. Così mi imbatto in una registrazione, sono io a 7 anni, con una voce stridula, mentre canto DEVI ESSERE TU addirittura con accento inglese (forse avevo ascoltato la versione di… Jody Miller).
Dal 1962 in poi i dischi che ricordo con maggiore emozione sono:



E SE QUALCUNO SI INNAMORERA’ DI ME (La Playa), cantata da Marie Laforet (1964); questa canzone le mie sorelle la cantavano (e stonavano nei modi più strazianti) anche al bagno, e ne ho trovato varie versioni cantate da loro sul Geloso (con il disco in sottofondo). Altra canzone molto amata in casa mia era E PIU’ TI AMO… (1964) di Alain Barrière e i due 45 giri di Richard Anthony CIN CIN e LA MIA FESTA (1964), inclusi i retri, ancora più belli che erano IL MIO MONDO di Bindi e UN MOMENTO ANCORA (You’ll Never Walk Alone), canzone che riusciva anche a farmi uscire qualche lacrimuccia. Facendo un passo indietro, visto che si parla di francesi, Françoise Hardy aleggiava con la sua TOUS LES GARCONS ET LE FILLES… (1962)molto più nella versione francese, ma non ho sciolto il dubbio che ho sul fatto che la prima Hardy in italiano non fosse lei ma una sua controfigura vocale. Troppo asciutta e priva di pathos e non riesco a riconoscerla con la sua voce intensa e calda. Altra canzone che amavo molto era LA VERITA’ (1965) nella versione di Paul Anka e così la Petula Clark di CIAO CIAO (1965) e QUELLI CHE HANNO UN CUORE (1964). Così molto bella mi apparve PECCATO CHE SIA FINITA COSì, di Udo Jurgens, versione italiana di una sua partecipazione all’Eurofestival 1964. E così per la canzone CUORE di Rita Pavone in casa mia c’era il 45 originale HEART di Wayne Newton, regalato a mia sorella maggiore da uno dei numerosi fidanzati, che in una delle “festicciole” che si facevano a casa mia cambiò misteriosamente di proprietario, cosa che a quei tempi succedeva spesso. Peraltro Margot scoprì solo recentemente che Wayne Newton non era una donna. Un'altro fidanzato (ma quanti ne aveva questa sorella maggiore?) le regalò E ADESSO TE NE PUOI ANDARE.. dei Surfs avendo aggiunto a penna un "NON" dopo "adesso" ("I Only Want To Be With You" di Dusty Springfield). Ex "fidanzato" che per caso io e mia sorella abbiamo incontrato proprio quest'estate , dopo 45 anni, impietrite mentre qualcuno ce lo ripresentava come fosse la prima volta perché era un'altra persona.
E così tra gli italiani le canzoni di quel periodo che ricordo di più sono stranamente T’AMO E T’AMERO’ (1963) nella versione di Peppino Gagliardi, intensa e piena di pathos (lasciamo stare quella del piccolo Tony), e TORNO A PREGARE (1964) di Luciano Vieri. Quest’ultimo forse beneficiò della sua recente morte e anch’io nella mia mente bambinesca non potevo non risentire della suggestione evocata da questa bella voce e del fatto che la persona che cantava non c’era più. Di Luciano Vieri, che fino a poco prima si chiamava Jean Luk, va detto che, essendo uno che aveva fatto una certa strada verso il successo, apparve veramente un po’ sinistro il fatto che questo arrivasse proprio contestualmente alla sua morte. DON BACKY fece invece ingresso nel mio cuore con SONO SOLO (con HO RIMASTO sul retro, 1963), cover di Bacharach, “Call Off The Wedding” cantata da Bab Tino, dal repertorio della quale aveva preso anche AMICO (Keep Away From Other Girls).
Il 1966 fu l’anno in cui la mia infanzia inconsapevole si tuffò nel beat e, forse per effetto di avere in casa una sorella giovane e un po’ beat, cominciai ad appassionarmi alla musica dei gruppi, in particolare, al Sanremo 66 rimasi colpita proprio dagli YARDBIRDS e dagli italiani EQUIPE 84, accoppiati ai RENEGADES, dei quali comprai il 45 UN GIORNO TU MI CERCHERAI. Forse da qui nacque un’insana passione per i reietti e perdenti, che mi portò nel tempo ad apprezzare sempre di più canzoni che non piacevano agli altri. Infatti avevo vissuto come un’ingiustizia l’eliminazione degli EQUIPE-RENEGADES, così degli YARDBIRDS (e del povero Bobby – Solo -, vincitore dell’anno precedente)!!!
Intanto ossessionai a lungo mio padre affinché mi portasse il 45 giri dei Surfs QUANDO TU VORRAI (1965), una persecuzione che durò mesi (perché ero un martello pneumatico) e un’angoscia per il suo negoziante, il quale aveva creduto di risolvere mandandomi il 45 di SPIEGAMI COME MAI, con mio grande disappunto e mio padre che me lo avrebbe volentieri rotto in testa. La cosa rimase un tarlo nella mia vita (!!!); in realtà la canzone che io desideravo non esisteva su 45 ma io lo scoprii solo 30 anni dopo! Così in una trasmissione che si chiamava OPERAZIONE CIRCEO (1965), una cantante inglese, bionda, apparentemente insignificante, MARIANNE FAITHFULL, cantò una canzone che toccò in modo molto persistente la mia sensibilità, tanto che per anni quella melodia malinconica e obliqua mi passava per la pelle, QUANDO BALLAI CON LUI, versione italiana di MORNING SUN. Questa cantante, passando per le sue vicende di assonanza con i vissutissimi Rolling Stones e di droga , solo dopo molti anni, dal 1979, manifestò finalmente e pienamente tutta la sua grandezza. A Sanremo 67 passò inosservata, ma come lei altri del calibro di Dionne Warwick, Cher, Hollies e compagnia bella. A Proposito degli HOLLIES, di quel Sanremo macchiato del sangue di Tenco, acquistai praticamente solo il loro 45 giri. La canzone NON PREGO PER ME mi piaceva tanto, e quando un giorno nel ‘68 vidi in un negozio un 45 giri di un certo Lucio Battisti, PRIGIONIERO DEL MONDO, già sapevo chi era. Così Nancy Sinatra, martellava da Bandiera Gialla con la sua THESE BOOTS ARE MADE FOR WALKIN’, un pezzo talmente interessante da dominarti fin dal primo ascolto. Tra gli italiani per il biennio 1966-67 non posso dimenticare Gianni Morandi e le sue belle e particolari canzoni di quel periodo: C’ERA UN RAGAZZO… (1966), UN MONDO D’AMORE (1967), SE PERDO ANCHE TE (1966) e la stessa MEZZANOTTE TRA POCO (1967), sigla di Partitissima. Sebbene, devo confessare che Morandi non mi abbia mai fatto impazzire, anzi, queste canzoni le adoravo. A 9 anni dopo il catechismo avevo acquisito un po’ di libertà di movimenti ed uscivo da sola, andavo spesso ad un grande negozio di elettrodomestici, si chiamava RADIONOVELLI ed era sulla Circonvallazione Gianicolense;il settore dischi era all’entrata. La cassiera era un tipino, piccola, magra ma tornita, scura di pelle e lineamenti un po’ da negretta. Ormai c’era un dialogo e mi consigliava le cose interessanti; lì mi fece sentire PRIGIONIERO DEL MONDO ma non la comprai (molto preveggente!!), ma l’anno precedente forse ero andata per comprare PER VIVERE INSIEME nella versione di Jimmy Fontana o dei Quelli, mi fece sentire quella che aveva lì, cioè Brenda Bis e mi convinse che era migliore delle altre… Effettivamente mi piacque talmente che la consumai, voce graffiante, scura, aggressiva. La povera Maria Luigia Biscardi al Cantagiro 67 incontrò Celentano, il quale pensò bene di rovinarla trasformandola in una pupattola anni ‘30, non lasciandole nulla, non escluso il nome, piuttosto originale, che si era data. Quello che sembrò un colpo di fortuna segnò invece la fine della sua originalità, della sua bravura e infine della sua carriera. Alcuni artisti, lui in primis ma la stessa Mina, come talent-scout furono veramente dei falliti. Troppo egocentrici per valorizzare veramente degli astri nascenti. Il Natale del 1967 la mia famiglia decise di passarlo in una casa di montagna priva di un impianto di riscaldamento (solo il camino e due piccole stufe) e , oltre al ricordo del gelo (soprattutto delle lenzuola ghiacciate), ho quello di un presepio piuttosto naif che feci io stessa con dei piccoli pupazzi/sottiletta (c'era tutto, Madonna, San Giuseppe, bambinello, Magi, pecora e pastore, ecc...) di gomma fuori e dentro gomma piuma, con tanto di supporto, che la Invernizzi forniva in regalo nei formaggini MIO. Ero molto fiera sia dei pupazzi che del mio presepe (me li ricordo ancora perfettamente); questa situazione è associata in modo indelebile a L'ORA DELL'AMORE dei Camaleonti (versione ben riuscita di HOMBURG dei Procol Harum), che suonava dal mangiadischi.

I tempi cominciavano a cambiare e nel 1968 la musica recepì i fermenti del cambiamento. Nel 1968 tantissime sono le canzoni che ancora vivono dentro di me. Io non mi rendevo conto di quello che mi stava succedendo intorno, ma attraverso la musica, quella musica, anche la mia vita si nutriva di quelle energie. Così dal Sanremo 68 in poi si accese una miccia che mi portò ad aumentare l’acquisto di dischi tanto che per i miei giochi mi ero fatta regalare una grande “cassa” (non quella che pensate) giocattolo e il mio gioco principale era far finta di vendere dischi…. (scemetta!!!). Don Backy non mi piaceva così tanto nelle sue versioni di CANZONE e CASA BIANCA (in realtà preferivo Celentano e la Sannia), ma l’immagine di parte lesa fece pendere l’ago della bilancia dalla sua parte e in casa acquistammo il suo disco/diario. In realtà, a parte che questo artista comunque mi è sempre piaciuto molto, almeno fino al periodo RCA 1974, questa fu la prima manifestazione di quel suo narcisismo che un po’ trapela e che a mio avviso a lungo andare lo ha danneggiato. Poi esplose il mio pezzo preferito, IL VOLTO DELLA VITA, bel testo, bella copertina, bella canzone. La mia amica di RADIONOVELLI cercò di propinarmi anche stavolta David McWilliams ma stavolta mi impuntai e volli la Caselli. Certo rimasi un po’ perplessa quando al DiscoEstate Caterina tirò fuori invece una canzone così brutta come L’OROLOGIO. Ma mi concentrai, con un bel finto microfono e una parrucca di capelli lunghi color miele che aveva mia madre, e che legavo con la coda, cantavo la mia canzone preferita allo specchio (tanto un po’ di scucchia come la Caterina l’avevo…). Era anche l’anno de LA BAMBOLA, di COME UN RAGAZZO, di CHIMERA, ma le canzoni che mi toccavano di più furono la versione di Dalida di NIGHT IN WHITE SATIN dei Moody Blues, UN PO’ D’AMORE, che preferivo alle versioni dei Nomadi o Profeti, per la teatralità dell’interpretazione e perché anch’io comunque, non discostandomi dalla più prevedibile e conforme emotività popolare, la vedevo ancora come la testimonianza vivente e la vittima del suicidio di Tenco. Al di là di questo lei come artista mi è sempre piaciuta e mi piace tuttora molto. La mia teoria è che oltre al suo magnetismo un po’ negativo che le attirava storie un po’ raccapriccianti con i suoi partner, la presenza realmente negativa nella sua vita sia stata a mio avviso quella del fratello. Mi sbaglierò ma ha finito di deprimerla lui con le sue smanie di divismo che proiettava sulla sorella e che cercò di manipolare anche dal punto di vista artistico in modo a mio avviso pesante. Sempre in quel Cantagiro (che la Caselli vinse forse con qualche “spintarella”) l’altra canzone meravigliosa era IL VENTO, così tanto suggestiva e particolare. DIK DIK e Battisti, che, a parte LA FARFALLA IMPAZZITA, si stava aprendo una bella strada. Ma, mentre coltivavo canzoni indubbiamente di qualità, la mia vena di piccola fiammiferaia e di protettrice dei derelitti mieteva canzoni insopportabili e così andai in fissa per due canzoni che certo non brillavano. La prima PREGA PER ME di Fiammetta, l’ascoltavo per sette otto volte di seguito (e non si può dirle di meglio che sia una vera lagna) finché mia sorella davanti alla finestra con il disco già di fuori dal davanzale mi minacciava che se non la finivo me lo frullava di sotto. Così anche FINALMENTE di Wilma Goich (ma quante sue canzoni migliori non avevo filato affatto) la consumai metodicamente con 10-15 ascolti giornalieri, finché il disco non si trovò più, e nessuno mostrò di interessarsi alle mie lamentele. L’ho infatti ricomprato di recente. LUGLIO invece piaceva solo a mia madre. AMORE AMOR di Iva Zanicchi mi confermava quanto era bravo Paolo Ferrara, del quale l'anno precedente avevo amato molto SENZA DI TE per cui avevo apprezzato Fausto Leali molto più che per A CHI.
L’autunno portò successi unici come RAIN & TEARS, ELOISE, i Procol Harum fecero una bellissima cover della loro SHINE ON BRIGHTLY, IL TUO DIAMANTE, Brenton Wood intratteneva con la sua GIMME A LITTLE SIGN. Mio fratello tornava dal militare e per riconquistare la sua ex che lo aveva mollato prima che partisse, sparava il giradischi a tutto volume, e considerato che il terrazzo della sua “bella” era ben lontano dal nostro, per farsi sentire il volume doveva essere veramente oltre la soglia del tollerabile. Ma la cosa in qualche modo funzionò perché l’anno dopo si sposarono. Le canzoni che faceva girare sul piatto erano IRRESISTIBILMENTE di Sylvie Vartan, CHIUDO GLI OCCHI E CONTO A SEI di Fausto Leali e FIRE di Arthur Brown. Tutte e tre per il mio gusto più che belle. Naturalmente seguii con passione la Canzonissima di Mina-Chiari-Panelli di cui mi piaceva senz’altro più di tutto la sigla con tutti i cantanti in piedi a cantare ZUM ZUM ZUM, mentre spesso – non mi vergogno a dirlo - aspettavo con impazienza la fine delle meravigliose medley di Mina.
Così quell’anno dal Geloso tre canzoni in particolare risuonavano molto in casa, anche se erano uscite già da un po’: PERCHE’ NON SOGNAR di Thomas, CHE STRANO EFFETTO dei Corvi e NON SONO QUELLO CHE TU VUOI di Smokey Robinson.
Il 1969; si sentiva che finiva il decennio e il mondo era imbarazzato e ferito dall’aggressività del cambiamento. Qualcosa stava cambiando davvero. La musica cambiava. Il Sanremo 1969 fu diverso e presago di novità definitive nella canzonetta italiana, tanto fu la presenza di Lucio Battisti, con una canzone che non fu e non sarà tra le sue migliori. STEVIE WONDER, che probabilmente non fu preparato adeguatamente e fece una performance notevolmente al di sotto delle sue capacità. Resta comunque un grande evento il suo passaggio nella storia di Sanremo. Qualcosa di simile per Mary Hopkin, la pupilla della Apple, che fu più fortunata, e sembra che l’arrangiamento della sua esecuzione di LONTANO DAGLI OCCHI fosse proprio di Paul McCartney. La mia canzone preferita comunque nel tempo si è rivelata UN’ORA FA. Al Disco per l’Estate, in cui comunque c’erano molte canzoni che mi commuovevano, ELISABETH di Maurizio, SOLE di Franco IV e Franco I, FIUMI DI PAROLE di Nico e I Gabbiani, LISA DAGLI OCCHI BLU di Mario Tessuto, riemerse la Cenerentola che è in me per tutelare una perdente, questa volta di lusso, NADA con BIANCANEVE. La canzone, considerata universalmente una delle più brutte del suo repertorio dell’epoca, mi piacque talmente tanto da ricadere nel mio patologico training degli ascolti senza fine, con grande gioia, stavolta rassegnata, di mia sorella. Nello stesso periodo consumai nel vero senso della parola (perché alla fine saltava…) anche la versione di Dori Ghezzi del CASATSCHOK. Volando a settembre lì successe qualcosa di irripetibile. La rassegna di Musica Leggera di Venezia, che dall’estate era stata spostata all’autunno, e già questo la rese più affascinante, mi portò in casa il segno tangibile della novità. L’atmosfera era delle più suggestive; stavolta tre episodi musicali mi tagliarono veramente l’anima; il primo furono i Vanilla Fudge, e la loro SOME VELVET MORNING, una versione veramente lacerante di un pezzo di Nancy Sinatra e Lee Hazelwood.Un pezzo che risentito dopo anni non mi fece più lo stesso effetto, ma in quel momento ebbe un indescrivibile impatto emotivo, e non solo per me, tant’è che si portò a casa un premio. Le altre due perle stupende furono LO STRANIERO (Le Métèque) di George Moustaki e la bellissima QUANTO T’AMO (Que Je T’Aime) di Johnny Hallyday. Il primo pezzo era alla fine un sirtaki un po’ maldestro e direi con un pizzico di sottile perversità, nel senso che non era e non doveva essere il pezzo “sereno” che sembrava a un ascolto superficiale, pervaso da un senso di piacere della vita e forse anche della morte. La seconda fu finalmente vedere questo benedetto marito di Sylvie che non doveva essere tanto peggio di lei. Alla fine del 1969 curiosamente un personaggio che era stato un ex flirt estivo dell’anno precedente di mia sorella fece un disco; era la sigla de LA DONNA DI CUORI (intanto Little Tony l'aveva fatta di Picche), ed era un certo ITALO JANNE. Il tipo era molto atteggione soprattutto per un preteso flirt con Patty Pravo che non si evitava di pubblicizzare (forse sperando che qualche giornalista lo sentisse). Mia sorella rimase un po’ delusa quando parecchio tempo dopo le dissi che su di lui circolavano tutt’altre voci…. Cioè di una lunga storia con Malgioglio… comunque la canzone era CENTOMILA VIOLONCELLI ed era abbastanza carina, lui la cantava benino, ma un po’ da gallina strozzata, tendenza che aumentò smodatamente nelle canzoni s

uccessive (NO LUCKY NO non si poteva sentire…). Il 1969 finì purtroppo nel modo tragico che sappiamo, sulle note di VENUS, stampate nel profondo del mio cuore, ed iniziava il ‘70.

Di quel Sanremo voglio ricordare soltanto poche cose, tra quelle meno in evidenza la presenza di una delle più grandi artiste italiane, Gabriella FERRI con una canzone semplice e commovente, SE TU RAGAZZO MIO, ma non meno prezioso il suo partner
Il 1970 è il mio anno preferito, forse perché avevo 12 anni e fu il punto di passaggio dall’ingenuità all’età adulta. Ma il settanta è l’anno del Rischiatutto e della Longari, è l’anno delle grandi rassegne musicali giovanili e hippy, è l’anno dello sviluppo più visibile di nuove tendenze musicali e la loro ricezione da parte dell’industria musicale; episodi come 6001, la trasmissione ambientata al Palasport di Torino, restano emblematici di come si tentasse di far incontrare la canzonetta col nuovo temperamento giovanile. Fischi su fischi, contestazione, tensione. Si spara su tutto senza distinzione e senza pietà. Sanremo 1970 ebbe un buon cast e fu un’edizione perfettamente di mio gradimento, a parte i presentatori, veramente singolari; Enrico Maria Salerno e Ira Furstemberg, con il “salvataggio” dell’impostato e plastico Nuccio Costa. I primi due riuscirono a perdere su quel palco tutta la loro disinvoltura, Salerno che pure era un attore a volte vivace era piuttosto impalato, mentre lei da donna affascinante quale sembrava si trasformò in una pupona imbranata e scombinata. La sigla mi piacque tantissimo già dal primo ascolto, CONCERTO PER VOCE, PIANO E SOGNI, veramente un bel pezzo; il sound di Mario Capuano, inconfondibile,stava targando tante delle produzioni RCA e diventando un po’ il simbolo sonoro del sound RCA; questo pezzo divenne poi LA CONCHIGLIA di Patty Pravo e TO REMIND ME dei Middle Of The Road. In particolare il ‘70 è per me l’anno di IN THE SUMMERTIME dei Mungo Jerry, , di SIMPATHY dei Rare Bird, LITTLE GREEN BAG di George Baker, L'ISOLA DI WIGHT di Michel Delpech ma soprattutto di YELLOW RIVER dei Christie, una canzone che al di là della semplicità e l’allegria sento (e mi sento un po’ scema nel dirlo) leggermente struggente. Ma è anche l'anno di "canzoncine" come FIORI BIANCHI PER TE, che anche se seguivano un filone di basso profilo per lo standard di quel periodo, (come gli anni precedenti PAROLE, AMICA MIA, ecc.), erano una specie di carezza leggera nel generale ispessimento della musica e non erano affatto fuori tempo come qualcuno sostiene. E’ anche l’anno della mia Canzonissima preferita, la prima di Corrado e Raffaella Carrà. Questa edizione molto più povera della precedente fu invece molto più comunicativa e immediata. La Carrà era di una freschezza sorprendente come non sarebbe più stata in seguito e interagiva perfettamente con la simpatia un po’ sorniona di Corrado. A quel tempo queste trasmissioni e i personaggi entravano veramente nelle case e nella vita delle famiglie, al punto che l’effetto piacevole che generavano in trasmissione si trasmetteva all’ambiente domestico. Almeno sembrava. Di quella Canzonissima nella quale la fortuna dei cantanti era legata oltre alla bravura e popolarità anche ad una pallina che determinava l’accoppiamento casuale tra la cantante femmina con il cantante maschio, da brava cenerentola voglio ricordare solo due di queste coppie, che non saprei dire il perché, in me rappresentano una combinazione musicalmente particolare. La prima è la coppia Lara Saint Paul e Bobby Solo, che nella prima fase cantarono rispettivamente DOVE VOLANO I GABBIANI di Tony Cucchiara e IERI SI’ di Charles Aznavour. Entrambe le esecuzioni erano di una intensità triste e drammatica, forse fastidiosa per una trasmissione di intrattenimento del sabato sera; Cucchiara rivelava un’interiorità da psicodramma come anticipando le tragedie che di lì a pochi anni arrivarono con la morte della moglie Nelly. Bobby Solo, che pure aveva ancora solo 25 anni cantava una canzone in cui parlava della gioventù passata, rendendo un po’ più leggero (ma fino a un certo punto) e melodico il pezzo altrimenti serio di Aznavour. Nel frattempo stranamente le canzoni che mi evocano maggiormanete il ricordo di quella Canzonissima erano di tre cantanti donne eliminate: Wilma Goich (PRESSO LA FONTANA), Anna Identici (LA LUNGA STAGIONE DELL'AMORE), Rosanna Fratello (AVVENTURA A CASABLANCA), la Goich e la Identici eliminate nella prima fase, la Fratello nella seconda, grazie ad accoppiamenti sfortunati (Lionello, Don Backy, Peppino Di Capri), ma le tre canzoni erano particolari e non banali. La seconda coppia “perdente” l’ho scelta dalla fase finale, ed è quella composta da Rita Pavone con E TU… e Little Tony con AZZURRA. Entrambe le canzoni provenivano dalla scuderia MOGOL/NUMERO UNO. E TU… della Pavone firmata Mogol-Donida, è un pezzo sul quale più volte ho posto il problema della paternità e ricevuto risposte un po’ saccenti, ma essendo i pezzi firmati Donida del ‘70 presumibilmente di Battisti (LA SPADA NEL CUORE, LASCIAMI VEDERE IL SOLE, LA FOLLE CORSA, ecc.) sarebbe il caso di approfondire seriamente la cosa con gli interessati senza dare per scontato nulla. Il pezzo è particolare, non ruffiano e a mio avviso bello. Ne esiste anche un bel provino di Gianni Morandi. La seconda canzone AZZURRA è di Mogol-Bruno Longhi, dopo aver scippato a Mal LA SPADA NEL CUORE, a Little Tony piacque diventare un cliente della ditta Mogol-Battisti, come Mina, Patty Pravo ed altri, non riuscendo mai realmente a cantare un pezzo firmato Mogol-Battisti. Come se in quel momento la coppia più richiesta non volesse apparire per una sorta di perdita di prestigio nei pezzi cantati dal piccolo Tony. A proposito di Mogol-Battisti, a parte Patty Pravo, che si accaparrò tre canzoni (IL PARADISO, PER TE e se è come dicono “gli esperti” LA SPADA NEL CUORE), il clou della qualità lo toccò a mio avviso proprio Mina. Sebbene abbia una grande stima sia della cantante che della donna, non sono una sua fan accanita, ma il suo incontro con Battisti fu a mio avviso una delle esperienze più felici della musica italiana degli ultimi 50 anni. Le canzoni stupende, INSIEME, che uscì in primavera nel 1970 e IO E TE DA SOLI alla fine dell’anno, AMOR MIO in primavera 1971 e LA MENTE TORNA (un po’ più debole delle altre, infatti era un retro, del lato A, UOMO). Non ci sono parole e dire belle è sempre dire poco. Del Sanremo 1971 ricordo la copiosa neve che cadde a Roma poco dopo (era marzo) e che ci colse di sera dopo una visita da parenti; io avevo dietro la copia di Sorrisi e Canzoni con la foto di Nada e Nicola Di Bari vittoriosi che si accartocciò per la neve. Di Nada comprai il 45 e di Nicola Di Bari il 33 giri. Piacevoli furono (finalmente!!!) Elsa Martinelli e Carlo Giuffré e fecero dimenticare i loro predecessori, lei con la sua eleganza, raffinatezza e disinvoltura, lui con la sua simpatia tipicamente napoletana e il suo spessore artistico. A proposito di quanto sono rimbambita e di SANREMO 71, rimasi piacevolmente stupita, in tempi recenti, nel sapere della partecipazione dei MIDDLE OF THE ROAD al festival con JORDAN (la canzone era LO SCHIAFFO). Ma poco dopo mi è capitato tra le mani uno di quei libretti di SANREMO che uscivano all’epoca con i testi (tipo MESSAGGERIE MUSICALI) sul quale c’era un mio appunto vicino al nome di JORDAN con scritto a penna “…& MIDDLE OF THE ROAD”. A Proposito di Mario Capuano, il fratello Giosy che faceva coppia fissa con lui (un po’ come i fratelli De Angelis), uscì nella stagione calda del 1971 con una canzoncina che mi piaceva molto, CHE SERA DI LUNA NERA, canzone che entrò nei miei canticchiamenti quotidiani, molto apprezzati dai miei familiari (che forse sotto sotto tramavano la mia eliminazione fisica) e da una famiglia di sorelle tutte zitelle con una madre dispotica, che abitavano al piano di sotto e che bussavano sul soffitto con lo spazzolone quando il baccano superava la soglia del sopportabile. Intanto alla Mostra Internazionale Di Musica Leggera 1971, Patty Pravo, Peppino Di Capri, Ricchi e Poveri, Nada, Nicola Di Bari, Eric Charden, Jimmy Cliff, Ocean, Lally Stott, Astrud Gilberto, Demis, i giovani Marcella, Ada Mori, e infine i Middle Of The Road. Questi, per tornare ai fratelli Capuano, dovettero a questi ultimi il loro grande successo, e non scindibile dal sound CATOCA (Capuano-Tosti-Capuano); anche a merito della penna un po’ stravagante di Lally Stott. TWIDDLE DEE TWIDDLE DUM era il mio nuovo tormentone, ne scrissi anche un inascoltabile e orribile testo italiano, e comprai gli altri 45 del gruppo CHIRPY CHIRPY CHEEP CHEEP di Lally Stott e SOLEY SOLEY di Fernando Arbex.
A fine anno i MIDDLE OF THE ROAD riproposero quella canzone di Giosy Capuano che mi era piaciuta tanto, con mia grande soddisfazione, con un testo inglese e un arrangiamento molto più ritmico. SACRAMENTO.
Ricordi televisivi altrettanto nitidi IL SEGNO DEL COMANDO, di cui tuttora sento il fascino, bella CENTO CAMPANE e a me piace proprio cantata da Nico, mentre non amo molto Lando Fiorini che a mio avviso è la sfacciata brutta copia di Sergio Centi, il quale oltretutto era un ottimo chitarrista. E ancora i “Fumetti IN Tv” e Nick Carter (con il suo fido Patsy), l’unico in questo genere che mi divertì molto, e una serie televisiva che mi piacerebbe moltissimo rivedere, “Fino All’Ultimo respiro”, con la sigla dei Ricchi e Poveri , la bellissima FUMO NERO in cui c’era lo zampino di Carlo Pes.
Della Canzonissima 71 voglio ricordare solo tre canzoni, la bellissima BAMBINO MIO di Piero Ciampi, cantata da Carmen Villani nella prima fase e non come continua a dire una sua specie di biografo nella terza come inedito, dato che la Villani fu bocciata alla seconda fase. La bella NON TI BASTAVO PIU’ che la Pravo, complice il suo autore David Shel Shapiro, rimanipolò dalla prima versione delle Voci Blu, COSA NON PAGHEREI. A parte la teatralità di Patty Pravo anche la versione delle Voci Blu è molto bella. E infine Domenico Modugno che non arrivò in finale con questa DOPO LEI, che pur essendo una canzone forse priva di grande personalità, era piena di solitudine e dolore, commovente e toccante come solo Modugno sapeva fare.
Se dovessi scegliere una sigla di chiusura del 1971 sceglierei naturalmente IMAGINE di John Lennon, tanto eterna da non essere più databile.
Gli anni settanta furono per me un’esperienza un po’ buia e anche le estati furono poco luminose. Effettivamente qualcosa si rabbuiò, oltre alle ristrettezze imposte da quella che fu definita “Austerity”, le domeniche senza macchine (che erano anche interessanti), le tensioni sociali e il crescendo di violenza che ne scaturì, la mia uscita dall’infanzia fu piuttosto traumatica considerato che da bambina credevo di essere già adulta. Fu così che, rendendomi improvvisamente conto che stavo crescendo, per un bel periodo invece di sentirmi grande, mi sentii improvvisamente vecchia. Intanto volava per i cieli di Roma il dirigibile “Good Year”. Mi chiedo ora a cosa servisse, ma era uno di quegli eventi di quel periodo che trovo piacevole ricordare.
Se dovessi paragonare gli anni ’60 e ’70 a due primi piatti, direi che gli anni ’60 erano una lasagna, mentre gli anni ’70 (specialmente il primo quinquennio) una specie di pasta e lenticchie.

SECONDA PARTE (1972-1991)
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Dal ’72 in poi, un po’ per i tempi che cambiavano così velocemente, e un po’ per il fatto che la musica cambiava con loro, il 45 giri sembrava leggermente in decadenza. L’interesse per l’artista a discapito dell’interesse per la canzone si arricchiva di altri aspetti: l’artista non poteva essere più insignificante o frivolo o leggero ma doveva esprimere qualcosa, un contenuto particolare che facesse riflettere, ragionare. Senza fare di questo concetto una legge (perché anche in quel momento la bellezza del pezzo aveva sempre il suo peso), se la canzone era bella l’interesse si spostava sul personaggio e quindi sull’album che rappresentava una vetrina più estesa. E così il diffondersi della musica pop-progressive e di tutti i generi anche più leggeri che ne traevano ispirazione, non esclusi i cantautori più o meno anticonformisti, rendeva il 45 giri un mezzo insufficiente e obsoleto. Così io l’ho vissuto. Quindi quando acquistavo un 45 giri era perché mi interessava la canzone ma non volevo approfondire il personaggio, e volevo solo un momento di evasione e di emozione. Ovviamente queste canzoni erano molto significative perché non c’era più la bambina ma una persona che stava crescendo, in un momento peraltro molto difficile, e ogni canzone era un concentrato di sensazioni diverse che si ritrovavano sempre lì, dentro quella certa canzone che racchiudeva un periodo. Per i vari Sanremi, DischiEstate, Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, inziava un triste e doloroso oscuramento: dal 1973 le prime due serate andavano solo in radio e in tv solo la finale; Canzonissima invece fu spostata alla domenica pomeriggio e diventò una specie di Settevoci fino ad essere soppressa nel 1975. Sorge il sospetto che, al di là del calo delle vendite discografiche e in generale delle più limitate risorse finanziarie, il cavallo dell’umiliare la musica leggera a ruolo di infima sottocultura trottasse da certi settori politici che cominciavano ad avere un’influenza più pesante sui mezzi di comunicazione. Altrimenti non si spiega. Il Sanremo 1972 fu l’ultimo Sanremo ad andare completamente in tv e il primo a non avere la doppia esecuzione delle canzoni. Non fu un’edizione esaltante (a parte il già sintomatico “sciopero” dei cantanti che agitò un po’ le acque, e questo già era un evento in linea con i tempi), non ci furono grandi canzoni, unica cosa particolare era il debutto di Gianni Morandi che costituiva anche un punto a suo totale sfavore, dato che rivelava il suo declino, e in più con una canzone piuttosto brutta. Voglio invece ricordare Rita Pavone che cantò un bel pezzo, AMICI MAI. La cantante fece di tutto quel periodo per nobilitare il suo repertorio e rendersi credibile come “interprete”, cosa che a dire il vero le riusciva abbastanza, se non fosse che il pubblico non aveva intenzione di perdonarle il suo tradimento (da maschietto a donna sposata per giunta al suo manager più grande di 20 anni). La canzone era molto intensa e intenso fu il calcio nel sedere che il pubblico le somministrò. Sanremo non era per lei che aveva fatto tutt’altro percorso. Peccato non aver insistito su quella strada malgrado le sconfitte, perché il seguito (che fu una specie di voltafaccia all’impegno) rese poco credibile quel tentativo. Intanto si rifaceva con il successo in Francia che la sostenne dalla completa depressione artistica con BONJOUR LA FRANCE, una versione un po’ “riuffiana” (ma si sa i francesi sono difficiletti specialmente con gli italiani) della baglioniana LA SUGGESTIONE e poi VERTES COLLINES, la “Montagne Verdi” in francese che nello stesso Sanremo invece era arrivata in finale con la giovane Marcella. Umberto Balsamo era ancora una promessa come cantante (non come autore) e SE FOSSI DIVERSA mi toccava quelle corde della lacrimuccia facile, bella e semplice canzone; allo stesso Disco Estate 1972 andai letteralmente in fissa per GERALDINE degli Era d’Acquario, 45 giri che fu anche piuttosto difficile trovare (ci riuscii alla fine dell’estate) mentre la versione che era inclusa nella raccolta della CGD era un provino piuttosto moscio. Di GERALDINE ubriacai tutte le mie amichette e scrivemmo un testo francese per fare le strane e cantarla così. Certo gli ERA D’ACQUARIO che erano un serioso gruppo progressive e furono malamente e al primo colpo eliminati dalla gara canora non immaginavano che quel pezzo che avevano scritto per scopi commerciali aveva tenuto in scacco per tutta l’estate una quattordicenne un po’ strana. Tanto amore mi tirò fuori Mia Martini da PICCOLO UOMO in poi, secondo me un pezzo veramente carino che non invidiava nulla alle varie YOU’RE SO VAIN di Carly Simon o IT’S TOO LATE di Carol King, genere senza il quale la nuova Mia Martini (dopo il passaggio alla Ricordi dalla RCA) non avrebbe a mio avviso avuto terreno fertile, ed esaurito il quale cominciò un graduale calo di consensi (ma senz’altro non di bravura). Il 1972 declinava con LOBO e la bella I’D LOVE YOU TO WANT ME e AMANDA che pur essendo una cantante di dubbie qualità, cantava così bene la sigla di MAIGRET, Le avventure del commissario Gino Cervi, SE NON CI SEI TU. La versione televisiva del pezzo, che era di Claudio Mattone, era molto più suggestiva e d’atmosfera di quella su disco, e questo succedeva spesso. Quando a Sanremo 1973 dalle serate in radio (sembrava un po’ di stare in guerra) sentii Gigliola Cinquetti che cantava una bella canzone di Claudio Mattone, MISTERO, mi piacque per la prima volta (non la sopportavo) e infatti fu… eliminata! In quel nastrino “stereofonico” che mi ero fatto dalla radio, oltre a lei c’erano Bassano con CARA AMICA, Lolita con INNAMORATA IO, ANIKA NA-O dei Jet (ante Matia Bazar), Alberto Feri con OGNI VOLTA CHE MI PARE. Ma l’inverno 1973 furono soprattutto MIND GAMES di John Lennon e GOODBYE MY LOVE GOODBYE di Demis. MIND GAMES è una canzone stupenda e mi commuoveva totalmente; la preferisco in assoluto a IMAGINE che alla fine si è sentita troppo. VINCENT di Don McLean mi piaceva molto ma mi lasciava anche un po’ indifferente, troppo bella, troppo perfetta. Comunque si sentiva tantissimo e altrettanto avevo preso il vizio di giocherellare con la penna come faceva il protagonista dello sceneggiato televisivo “Lungo il Fiume e Sull’Acqua”, che la faceva roteare da un dito all’altro senza farla cadere, cosa che cercavo di fare sempre anch’io che invece stavo sempre a raccoglierla a terra per diversi mesi finché non imparai. Tuttora nei momenti di vuoto mi capita di fare quel giochino. Così di Ornella (Vanoni) che sebbene stimassi non amavo molto, mi piaceva tanto il retro di DETTAGLI, PAZZA D’AMORE di Anselmo Genovese. Così del DISCOESTATE 1973 ricordo soprattutto SI’ DIMMI DI SI’ di Maurizio Piccoli, che aveva composto diverse canzoni per Mia Martini. Infine di quell'anno ricordo la bella GAYE di Clifford T.Ward, songwriter inglese scomparso nel 2001, un pezzo d’atmosfera che una ragazza come me poteva dedicare o anche canticchiare per gioco a un ragazzo senza che qualcuno equivocasse e insinuasse che la ragazza era andata ... in bianco; perché allora la parola “gay” ancora non si utilizzava. Il 1974 fu invece l’anno in cui mi cominciò a interessare il soul, in particolare amavo due canzoni ROCK YOU BABY di George McCrae ma soprattutto DOCTOR’S ORDERS di Carol Douglas, e non fu per caso che anche David Bowie l’anno seguente scelse proprio il soul per stupire con una delle sue prime metamorfosi e YOUNG AMERICANS. In quella estate del 1974 mi trovai in una vacanza al mare e dal juke-box mi martellavano tre canzoni in particolare: E TU… di Claudio Baglioni, QUANTO FREDDO C’E’ dei Gens e VOLEVI UN AMORE GRANDE di Loredana Bertè, canzone di Sergio Menegale. Queste tre canzoni sono il mio debutto nel mondo dei, diciamo, sentimenti perché sebbene fossi molto cotta di un ragazzo della mia classe, in vacanza ebbi tre diverse storielle con l’invidia e odio di altre mie concorrenti. Tanto per cominciare. Al Disco Estate 1974 però mi erano piaciute in particolare tre canzoni “cenerentola”: VOLA di Anna Melato, PROSPETTIVE di Rossella, UN’IMMAGINE DI NOI di Anastasia Dellisanti. Tre canzoni particolari, che certo, non avrebbero potuto avere successo, ma che io, con il solito gusto di avere la cosa solo per me, consumai. Anche gli autori infatti non erano da poco, né ultimi arrivati, KICO FUSCO, MASSIMO GUANTINI, PIERO ALOISE. Il tempo passava e il ricorso al 45 giri diventava sempre più episodico, uno sfizio e un’azione desueta. Questo attraversare il fiume camminando e poggiando un piede da un sasso all’altro, da che i sassi erano molto ravvicinati e ogni disco era un attimo di vita, i sassi diventavano sempre più distanti tra loro. E mano a mano mi allontanavo dalla musica leggera e mi avvicinavo sempre più al rock. Del 1975 voglio ricordare solo due canzoni, stupende, preziose. La prima MANDY. Ascoltai per la prima volta la versione italiana di Patty Pravo , RISPONDI, sull’album “Incontro”, ma altre versioni italiane con diverso testo (SBAGLI) le cantavano Riccardo Fogli e Michel Tadini. Volli risalire all’originale e non me ne pentii; era senz’altro la più bella. Meraviglioso è Barry Manilow, una sorta di Sinatra dell’easy listening, raffinato, profondo, tecnicamente perfetto. La seconda canzone è SAILING di Rod Stewart e per questa non ci sono parole. Bellissima. Nel secondo quinquennio degli anni settanta la mia vita cambiò totalmente e diventai un’altra persona, più aggressiva, meno disposta a farmi trascinare dai sentimentalismi e meno interessata alle canzoni in quanto tali. Ma di due canzoni voglio conservare un ricordo. La prima, altra “befana”, come dico nel titolo, è NEW YORK che Lorella Pescerelli, debuttante ferrarese, cantò a Sanremo ‘79, e malgrado il pezzo e la bella voce non fu l’abbrivio per una folgorante carriera. Intanto Patty Pravo si accaparrò il pezzo (con un testo in inglese) per lo stravagante MUNICH ALBUM. La seconda, che è del 1978, è invece una “regina”, WUTHERING HEIGHTS, che entrò per la prima volta nelle mie orecchie uscendo da un juke box, apparecchio che nel 1978 cominciava ad essere un oggetto prezioso. La canzone è bellissima e la voce di Kate Bush così strana che non si può scindere dall’effetto del pezzo, l’intensità e la drammaticità cinematografica della storia. “Heathcliff, it's me--Cathy. Come home. I'm so cold!” Nell’inverno ’80 quella cantante che mi aveva colpito al Sanremo 1978, ma senza toccare le mie corde più profonde, uscì con un 45 delicato, sommesso; in particolare il retro METROPOLITANA (You might need somebody di Randy Crawford) era un pezzo malinconico, invernale, veramente d’atmosfera. E fu forse uno dei pochi pezzi a piacermi veramente nel repertorio di Anna Oxa. Nel 1981 due belle e affascinanti cantanti degli anni ’60 ebbero un nuovo picco verso l’alto, e dimostrarono che la classe non è acqua. Nico, l'enigmatica musa dei Velvet Underground di Andy Warhol, pubblicò un 45 veramente molto intenso; la ex modella sempre bellissima malgrado anni di droga, era uscita con un repertorio nuovo e arrangiamenti più rock e vicini al dark, senza per niente snaturarsi rispetto al suo repertorio più tipico eseguito con un harmonium indiano, segno che il dark non aveva inventato proprio niente: la canzone SAETA era bellissima e lo stesso il retro VEGAS. Vicino a questa, Marianne Faithfull, un’altra persona e un’altra voce dalla biondina quasi insipida di cui parlavo all’inizio, esce con una canzone leggera ma intensa, SWEETHEART. Alle due muse del rock si accodò una nuova e geniale stella della musica sperimentale Laurie Anderson, che mi affascinò con il suo strano linguaggio evocativo e cerebrale: O SUPERMAN, un pezzo di 8.24 minuti tutto impostato su un suono di vocoder ripetitivo e una specie di violino truccato da un marchingegno particolare con un suono che diventa anche il dato distintivo di Laurie Anderson. Tanto per fare un po’ di pettegolezzo, la Anderson divenne poi moglie di Lou Reed. Nel 1984 Alison Moyet che si era messa in proprio dagli Yazoo uscì con un pezzo molto bello, LOVE RESURRECTION; artista singolare con una bellissima vocalità (avete mai sentito NE ME QUITTE PAS cantata da lei?). Peccato non sia stata sostenuta da un repertorio decente. Sul finire degli anni ottanta mi piacquero di nuovo alcune canzoni, e visto che degli artisti in quanto tali ora mi cominciava a interessare meno e stavo tornando alle canzoni, mi trovai a ricomprare 45 giri. Così gli INXS irresistibili con NEED YOU TONIGHT nel 1987 e ritrovai il piacere di risentire musica meno cupa. Il pezzo aveva una grande forza e me la trasmetteva. Quello di cui avevo bisogno in quel momento. Tra gli italiani invece mi piaceva tantissimo una canzone di un duo che non ho mai capito bene chi siano o se abbiano poi fatto altre cose: INDOMABILE PENSIERO di Fabio e Lisa. Di questo duo mi piacque molto anche l’album. La canzone era bella, malinconica, un po’ demodé, e la voce della cantante molto particolare e interessante un po’ alla Cher degli anni ’60. Naturalmente nel frattempo era riuscita fuori la mia vena stupida e tra le befane senz’altro metterei RICKY PALAZZOLO che a Sanremo 1987 cantò IN VOLO NEL FUTURO, una canzone di Renato Brioschi (ex Profeta) al quale non riuscì il colpo di fortuna di TERRA PROMESSA di Eros Ramazzotti. Ma a me la canzone piaceva e ritrovai la mia tendenza al tormentone di sentire il pezzo di seguito fino alla noia. A Sanremo ’90 finalmente Adriano Aragozzini reintrodusse la formula della doppia esecuzione: quel Sanremo mi riportò agli entusiami infantili. In tutto il bailamme del festival al Palafiori, che fu comunque ricchissimo, cito solo due stranieri che effettivamente si distinsero per convinzione nell’eseguire il pezzo, in luogo di altri che sembrarono essere scaraventati lì dentro per cantare canzoni per loro improbabili. Sarah Jane Morris che cantò SPEAK TO ME OF LOVE in coppia con Riccardo Fogli e Leo Sayer THE MOTH AND THE FLAME la canzone di Mango TU…SI’… Tra i giovani voglio ricordare invece Dario Gay, che a mio avviso avrebbe meritato una carriera più onorevole. NOI CHE NON DICIAMO MAI MAI: i cori, per la cronaca, sono di Laura Valente e Rita Pavone. Chiudo con uno degli ultimi 45 giri della mia vita: questo "onore" è toccato a Rudy Marra: la sua GAETANO era veramente bella.