venerdì 19 dicembre 2008

Sotto L'Albero: I 33 giri della Mia Vita

Ho pensato che per Natale ogni augurio può sembrare scontato; in fondo il Natale sta diventando una festa vuota e convenzionale ed ogni anno ci si sforza di rinnovare la sensazione bella che vi è legata magari dall’infanzia o a quando il mondo sembrava (dico “sembrava”, mi posso sbagliare, ma non credo!) migliore. Allora ho pensato di mettere sotto l’albero tutti (o quasi) gli album/lp che nella mia vita sono stati importanti. Mi rendo sempre più conto, anche da sola, che questi album sono legati a sensazioni mie di quel momento, alle persone che incontravo, allo spirito del periodo, o almeno come lo sentivo io. Per cui so con certezza che le sensazioni che davano a me, che in certi casi erano fortissime, con la massima probabilità non le hanno date o non le daranno a voi. La sensibilità è una delle variabili assolutamente indefinibili, dipende dalla singola persona e da una marea di altri fattori. E il protagonista dei questo post è l’lp, il vinile, poi spiegherò comunque perché. Questo mio viaggio, che è un viaggio nella mia vita, sottintende un invito all’acquisto, con la mente, tutta vostra, che deciderete di avere. Cd ristampa, se c’è, o vinile da collezione.
Nella mia famiglia si sentiva sempre molta musica e la musica era il centro dell’energia. Un pianoforte (e non solo) era sia nella casa paterna che in quella materna. In casa gli lp si cominciarono ad acquistare nel 1970, con l’avvento dello stereo, e l’entrata a casa mia di un impianto di un certo livello.
Non è un caso che vorrei iniziare con MINA, un’antologia, la capostipite dei suoi “Del Mio Meglio”, il n. 1, una splendida confezione cartonata da aprire in tre sezioni, con 3 abiti d’epoca, senza testa, con l’unica testa, sempre la stessa, che è sotto, ed è la testa dell’unica vera foto di Mina, a cui si arriva alla fine, l’ultima figura di questa strana scatola cinese insieme al disco. Certo sul cd tutto questo non esiste. Splendido lp, prima parte dal vivo, vere perle cantate alla Bussola, SE STASERA SONO QUI, LA VOCE DEL SILENZIO, ma, la più toccante, una VEDRAI VEDRAI tirata e cantata come nessuno aveva fatto fino a quel momento. Sul retro le più belle, e dico belle, canzoni del periodo, e parlo di INSIEME, BUGIARDO E INCOSCIENTE, NON CREDERE, ecc. Un disco semplice e meraviglioso. Ma le perle di quel momento erano soprattutto EMOZIONI di Battisti, con quel sound tipico “Ricordi”, che ascoltavamo in penombra, attoniti (io avevo un certo odio per la voce e il personaggio Battisti ma un amore viscerale per le sue canzoni), quasi tutta la mia famiglia (tranne mia madre sempre molto per conto suo). Mia madre riappariva non appena sul piatto cominciava a girare un disco della Barclay, e le note della bella "Devi sapere", E FU SUBITO AZNAVOUR. Dagli USA per il Natale 70 i nostri zii ci avevano spedito due dischi FRANK SINATRA e MANTOVANI. Due dischi meravigliosi che tuttora ascolto con la medesima emozione (con la differenza che i miei 12 anni amplificavano tutto!). Potrà sembrare strano, ma nel 1971, uno degli album che ascoltai di più era proprio l’omonimo “Nicola Di Bari”, la sua enorme foto in uno sparato primo piano (ma come negli anni 60 anche sui dischi delle cantanti brutte mettevano delle belle donnine, ora gli anni 70 vogliono il “mostro” in prima “pagina”), l’album era uscito subito dopo il suo Sanremo vittorioso (IL CUORE E’ UNO ZINGARO) ed era veramente piacevolissimo, con picchi di grande intensità, in particolare la grande CAPIRO’, la bellissima I’LL BE HOME di Randy Newman. Non si spiegherà mai facilmente il così grande successo di Michele Scommegna, fino a qualche anno prima personaggio di tappezzeria, e dal 70 al 72 dominatore assoluto della scena sanremese, nonché vincitore a sorpresa della Canzonissima 71. L’unica spiegazione è la grande intensità del personaggio, semplice, melodico, direi anche ottimo interprete. A parte la nostra spregevolezza di pubblico italiano usa e getta (in Sudamerica gli sono stati molto più fedeli) lo considero un grandissimo (e penalizzato al massimo) alla stregua di Mimì Bertè.
Altri album recuperai molto tempo dopo, per un mio interesse non materializzato in quel periodo. Ad esempio l’album della Pavone prima del passaggio di nuovo in RCA, RITA 70, mi piace molto, sia (e daje) per l’inconfondibile sound RICORDI (vedi Battisti), sia perché rappresenta per me la diga tra la vecchia Pavone ormai in crisi di contenuti, di pubblico ed estetica (vabbè sorvoliamo …) e la nuova Pavone RCA dal Sanremo 70 al Disco Estate 73. Questa Pavone covava una trasformazione molto profonda che sarebbe arrivata, e che sicuramente è stata molto frenata dal marchio di infamia che anche i suoi collaboratori non mancavano di trasmetterle. Questa evoluzione sarebbe stata molto significativa, se, ad esempio, le avessero lasciato pubblicare l’album PASSAGGIO, veramente interessante e… d’autore. Poiché considero la Pavone (al di là delle sue piccole espressioni antipatiche) una delle nostre più grandi artiste, considero questo una sorta di delitto per il quale sarei disposta a fare delle indagini e punire i colpevoli (e fu così che ad essere condannato fu Teddy Reno…).
I tempi tuttavia cambiavano. Oltre alla sensibilità musicale, cambiava il rapporto con il denaro e con i sentimenti. 1972. Mia Martini, che in RCA, non ho paura di dirlo perché c’era di mezzo Baglioni, tirò fuori qualcosa di quasi lugubre, in RICORDI fu valorizzata in una maniera impeccabile; probabilmente nell’ambiente della casa discografica milanese circolavano già numerose energie, i fratelli La Bionda, Baldan Bembo, Maurizio Piccoli, Bruno Lauzi, Maurizio Fabrizio, ecc. tutte queste persone riuscirono a creare intorno alla cantante un genere musicale sicuramente all’altezza della migliore canzone d’autore internazionale, da Elton John a Carly Simon, passando da John Lennon, l’album NEL MONDO UNA COSA, anche spinto dalla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, era veramente fruibile per intero, senza buttare nulla, anche le canzoni minori si ascoltavano con piacere. Intorno a lei in quel momento imperava il progressive. In TV nel 1974 passava clandestinamente in televisione l’Orfeo 9 di Tito Schipa Jr. Io che già ero abbastanza galvanizzata dai vari “Jesus Christ” e “Tommy”, rimasi talmente colpita dalla cosa, forse perché italiana (senza immaginare ad esempio il futuro boom di Renato Zero e l’amica Loredana) che la divorai per mesi, registrata su una musicassetta dalla tv. Ricordo che trovai il doppio disco solo anni dopo, quando un ragazzo decise di lasciarmi proprio la mattina del 31-12-76, andai di corsa a comprarmi il disco in chiusura di negozi e passai la notte di capodanno sparandomelo in cuffia. Forse è stato uno dei miei capodanni più interessanti... Nel frattempo tre perle avevano scosso la mia mente musicale un po’ patetica e provinciale: THE DARK SIDE OF THE MOON (Pink Floyd), PICTURES AT AN EXIBITION (Emerson Lake & Palmer), e ROCK’N ROLL ANIMAL, live di Lou Reed. Sul primo non si può immaginare che quella che adesso si può definire una “bella musica”, in quel momento, cioè nel 73-74, era qualcosa di veramente esplosivo e invadeva l’anima. Pink Floyd significava farsi travolgere da un’ondata emotiva. In quel momento il gruppo veniva da esperienze veramente e fortemente psichedeliche. Ora sembra che si parli solo di un business.
PICTURES era un ascolto meraviglioso, la voce di Lake, le tastiere di Emerson, la bravura di Palmer, era affidarsi sia all’emotività che al dominio della tecnica. Preferivo questo strano lp, che rielaborava una composizione classica, agli album istituzionali del trio, comunque anche molto belli. LOU REED era splendido in quest’ambiguità così corrotta, specialmente in HEROIN, mi sentivo trascinata in un mondo particolare del quale sentivo fortissimo il fascino. Anni dopo (come in seguito dirò) avrei recuperato tutti i Velvet Underground.
Da non trascurare in questo periodo fu il David Bowie, certo inimitabile nei suoi album più belli (Ziggy, Space Oddity, ecc.) ma il mio album preferito fu PIN UPS, senza pari, uno dei più begli album di cover che io abbia mai sentito; splendida scelta dei pezzi, soprattutto attinti dal beat di metà anni sessanta; il mio preferito SEE EMILY PLAY dei vecchi PINK FLOYD, ma anche FRIDAY ON MY MIND degli Easybeats. David Bowie li personalizza ma gli infonde una carica così particolare ed energetica, insieme ad un fortissimo fascino. Di palo in frasca improvvisamente, senza che io la conoscessi, mi bussò in casa una certa Gloria Gaynor che tenni tirata a tutto volume per mesi con il suo mix dei tre pezzi splendidi “Honey Bee-Never Can Say Goodbye-Reach Out I’ll Be There”: ero da Ricordi a Via del Corso, chiesi che cos’era la musica che si sentiva e comprai il disco. Anche la musica italiana, quella che in quel momento era la “nuova musica” italiana, aveva il suo spazio: bellissimo il “Theorius Campus” di Venditti/De Gregori, bellissimo il Parsifal dei Pooh, bellissimo il Branduardi RCA (capolavori Re Di Speranza, La Luna, Confessioni di Un Malandrino, Tanti Anni Fa) ma io fui galvanizzata dal successivo ALLA FIERA DELL’EST su Polydor (e siamo nel 1977). Lucio Battisti col suo LA BATTERIA , IL CONTRABASSO restituì fiducia nel tempo che passa e nella musica che, cambiando, resta di altissima qualità. Intanto, una sera senza far nulla, in radio, sentii un intero lp di una cantante americana, con una voce tonda ma un po’ roca e malinconica, canzoni bellissime e delicate, telefonai in radio ed era Melanie Safka e l’album era THE GOOD BOOK. Lo cercai per anni, intanto comprai tutti gli altri album di Melanie che trovavo e me ne saziai. Il più bello era senz’altro STONEGROUND WORDS del 1972, bellissima TOGHETER ALONE. Alla fine, in un negozio improbabile, carissimo e poco frequentato, in Piazzale della Radio, trovai anche “The Good Book”.
Poco dopo e parliamo del 1976, erano anni molto caldi. A Roma e in tutta Italia, un po’ penso come nel ‘68, si percepiva un clima di inquietudine, nella vita, nella politica e nella musica. A Londra col punk il rock riacquistava una vitalità e un significato particolare. Sex Pistols, Siouxsie, e altri stranissimi individui rappresentavano una nuova forma di singolarità. Dall’America un’artista, neanche tanto giovane, a capo di un gruppo di punta, si riagganciava alla tradizione di alcuni gruppi rock americani che dopo il 1965 avevano scolpito nella pietra e tradotto in musica un costume e un modo di vita, tra sesso, droga ed un estetismo dissacrante: Velvet Underground, Doors, e di seguito, più ancorati rispettivamente al rock psichedelico e al rock blues, Jimi Hendrix e Janis Joplin. Patti Smith, associando musica e poesia, dal recitato e parlato al cantato e urlato (e anche stonato, perché no), esplose in tutto il mondo rinnovando l’amore per il rock nella musica e nella vita. Il mio album preferito inizialmente era proprio il più buio, RADIO ETHIOPIA, ma col tempo non potei non riconoscere la grandezza del primo lp, HORSES, con la bellissima copertina di Robert Mapplethorp, e le stupende REDONDO BEACH, KIMBERLY, FREE MONEY, GLORIA dei Them, per nominare solo le migliori. Allo stesso tempo fui risucchiata da quelli che erano i miei arretrati, e fu un grande amore per il primo lp dei Velvet Underground & Nico, con la famosa … banana, innamoramento in cui recuperai il vero Lou Reed ed iniziai un amore per l’enigmatica Nico e il suo harmonium; impareggiabili SUNDAY MORNING, I’LL BE YOUR MIRROR, VENUS IN FURS; dei Doors col primo lp, e le bellissime BREAK ON THROUGH, ALABAMA SONG e manco a dirlo, forse sfruttatissima ma sempre splendida, LIGHT MY FIRE; Janis Joplin, sempre indominabile, e quindi alla fine impossibile da valorizzare veramente, ai vari lp ho sempre preferito il Greatest Hits, molto efficace e molto bello. Presenti tutte le sue più belle esecuzioni, da PIECE OF MY HEART a CRY BABY, da ME AND BOBBY MC GEE a SUMMERTIME. Nel contempo la mia attenzione era anche rivolta alla California e a prodotti come Jefferson Airplaine, e in particolare Jorma Kaukoneen, a Crosby-Stills-Nash ma in particolare a Neil Young; ma soprattutto, essendo la meno allineata, a Joni Mitchell. Nel passaggio, che era anche Italiano, di certo progressive al jazz-rock, come nel caso degli Area, fu un grande turbamento sentire Joni Mitchell, così cantautrice sul finire dei sixties, spostarsi su una lettura dei suoi brani in chiave jazz. Ancor prima di HEJIRA, passando per DON JUAN’S RECKLESS DAUGHTER, l’approdo a MINGUS con la “santa” benedizione del live SHADOWS AND LIGHTS, uno degli album più belli delle mia vita. HEJIRA tra i quattro resta comunque il mio preferito per essere il primo vero riferimento per i successivi, COYOTE, AMELIA, FURRY SINGS THE BLUES, BLACK CROW, stupende canzoni che non sarebbero tali senza il tocco magico del grande Jaco Pastorius.
A cavallo tra i 70 e gli 80, i miei ascolti furono copiosi ma alla fine, avendo anche da bambina il vizio di girare abbracciata al cuscino (e guai a togliermelo), le cose che veramente salverei per qualità e originalità non sono poi così tante. La prima, un po’ kitch, è proprio quella strana Lene Lovich, che, malgrado non si possa annoverare tra i mostri sacri del secolo, mi conquistò inizialmente per una certa somiglianza vocale con Patti Smith, subito superata dalla scoperta di tutta l’originalità retrostante: elettronica con sonorità sixties (un po’ Shadows) in particolare ad opera di Les Chappel, suo marito calvo, chitarre sintetiche e ben allineate, la voce di Lene Lovich, tonda, è usata come uno strumento e raggiunge dei virtuosimsmi impensabili, note altissime, insieme al sax suonato dalla stessa cantante, il tutto con una spolverata di atmosfere che evocano l’Europa orientale. La cantante infatti mi sembra che avesse tali origini da parte paterna. STATELESS è l’album che metto in mostra, i pezzi migliori HOME, LUCKY NUMBER, SAY WHEN, I THINK WE’RE ALONE NOW cover di Tommy James & The Shondells. Dal vivo la cantante era, oltre che perfettamente aderente al disco, anche nei passaggi vocali più complicati, assolutamente godibile. La sua amica/concorrente Nina Hagen fece anche lei due buoni primi album, con un gruppo eccellente che sembra gli fosse stato imposto dalla CBS; si trattava del “Lokomotive Kreutzberg”, un gruppo rock politicizzato, ma tecnicamente perfetto e con un sound bello e robusto; con lei divenne “NINA HAGEN BAND”che è anche il nome dell’album. Questo primo album lo consiglio perché è veramente interessante, bella TV-GLOTZER (cover di White Punks On Dope dei Tubes; belli anche i Tubes!!). Il secondo (UNBEHAGEN) non è male, ma è da menzionare principalmente perché la Pavone spesso cita, tra le sue “gesta”, il fatto che la Hagen vi incise il suo WENN ICH EIN JUNGE WAR (qualche anno dopo il gruppo rimasto orfano della cantante, col nome di SPLIF incise la canzone CARBONARA).
Sempre “donna” direi che furono le cose migliori di questi anni; il grande ritorno di Marianne Faithfull, completamente trasformata nella voce dai tempi degli Stones, con il bellissimo BROKEN ENGLISH (1979). Niente male e forse lo preferivo, il seguente e più leggero DANGEROUS ACQUAINTANCES (1981), nonché il successivo A CHILD’S ADVENTURE (1983). Fa pendant con la Faithfull, per la medesima mente (Chris Blackwell) e in comune lo staff di compositori, i tre album di GRACE JONES, WARM LEATHERETTE, NIGHTCLUBBING, LIVING MY LIFE, uno più bello dell’altro.
Degli stessi anni, primi anni 80, sono due album inglesi; NICO – DRAMA OF EXILE, album che la ripropose dopo anni di silenzio musicale e di droga (intanto faceva film col suo Philippe Garrell) con un repertorio “elettrico” niente male, se non fosse che lei disconobbe l’album perché pubblicato a tradimento con un’azione di pirateria discografica, tant’è che il singolo che pubblicò in contemporanea con un’altra etichetta in effetti aveva un sound molto più bello (Saeta/Vegas). Interessantissima, almeno per i miei gusti, la prova di Judy Nylon, poliedrica artista, compreso attrice, inglese, con PAL JUDY.
Da questa panoramica degli anni ottanta non posso risparmiarmi di parlare di REMAIN IN LIGHT, dei Talking Heads, che non posso non definire un’opera d’arte; frutto della genialità di Brian Eno e David Byrne (che avevano fatto le prove generali in “MY LIFE IN THE BUSH OF GHOSTS”, loro album privato). Una vera orchestra elettronico funky, nella quale il gruppo storico rimase sommerso, decorata da talenti di un certo livello, Nona Hendrix, Adrian Belew, Jon Hassel, Robert Palmer.

Di Nona Hendrix suggerisco, ma non penso esista in cd, il suo album migliore, omonimo, del 1982, ottimi pezzi, tra i quali spicca DESIGN FOR LIVING nel quale tutte insieme l’accompagnano, Tina Weymouth, Laurie Anderson, le Heart, Patti Labelle e Dolette McDonald, sue ex colleghe.
Quattro album di cover assolutamente differenti furono tra i miei album preferiti tra il 1982 e il 1990. Il Primo si intitolava BEF – Music Of Quality And Distinction, dietro il quale lavorarono gli Heaven 17. Fu l’album che offrì a Sandie Shaw l’occasione di un rilancio con “Anyone who have a Heart”, insieme a Tina Turner, Paul Jones, Gary Glitter, Paula Yates (ai tempi partner di Bob Geldof) alle prese con cover di pezzi strafamosi, BALL OF CONFUSION, THERE’S A GHOST IN MY HOUSE, SUSPICIOUS MINDS, THESE BOOTS ARE MADE FOR…, YOU KEEP ME HANGING ON, ecc.
Il secondo, che fu il primo di una serie molto riuscita, era THIS MORTAL COIL, della inglese 4AD, con in primo piano Elizabeth Frazer dei Cocteau Twins, Lisa Gerrard dei Dead Can Dance e Howard Devoto dei Magazine. Canzoni meravigliose, in particolare SONG TO THE SIREN di Tim Buckley, HOLOCAUST e KANGAROO di Alex Chilton.
Il terzo era prodotto da Hal Willner (precedentemente aveva pubblicato “Amarcord Nino Rota” e successivamente un album dedicato a Thelonious Monk): THE MUSIC OF KURT WEILL. Grandissime partecipazioni: Marianne Faithfull, Sting, Stanard Ridgway dei Wall Of Wodoo, Richard Butler dei Psychedelic Furs, Lou Reed, Tom Waits, Aaron Neville, Todd Rundgren, Carla Bley e tanti altri… Bellissimo disco.
Il quarto RED HOT & BLUE - A TRIBUTE TO COLE PORTER. Neanche a parlarne, nomino solo i miei preferiti: Sinead O’Connor, Neneh Cherry (che seguivo dai tempi dei Rip Rig & Panic), Tom Waits, David Byrne, Neville Brothers, Lisa Stansfield, Annie Lennox, Debbie Harry, Iggy Pop, ecc. ecc. ecc.
Non da ultimo inserirei, per finire i miei anni ottanta, Julian Cope, ex "Teardrop Explodes", grande psichedelico, bellissimo il suo WORLD SHUT YOUR MOUTH (sul quale cantavo a squarciagola come una pazza) e il grande Terence Trent d’Arby, peccato troppo megalomane (ed evidentemente debole) non ebbe un gran seguito; la sua voce calda e graffiante, i pezzi del disco INTRODUCING THE HARDLINE… uno più bello dell’altro. Forse voleva dare solo una lezione a Michael Jackson.
Infine, Toni Childs; un’artista che è rimasta un’enigma, forse un personaggio alla ricerca di un’identità; nel passaggio dal primo al suo terzo album diventa sempre più oscura, fino a uscire di scena. Bello, veramente bello il suo UNION, dove ho sentito la grinta del migliore pop-rock e la musica africana presa nella sua lettura più dolce.
A fine anni ottanta, ho recuperato anche due grandi artiste inglesi dei sessanta con due dischi in italiano, Sandie Shaw su Linea Tre e Petula Clark su Penny Oro. Da pochi anni la Shaw è stata ripubblicata in quasi tutte le lingue in cui ha cantato (spagnolo, tedesco, francese); in italiano il cd si intitola “La Cantante Scalza”. Petula Clark in italiano attualmente è solo su etichetta Bear Family in un cofanetto che si intitola “The International Collection”. Da lì è di nuovo esploso il mio amore per gli anni sessanta.
Concludo questo post, con due sconosciuti italiani, due cantanti che pur avendo partecipato a qualche Sanremo con nuove proposte sono alla fine rimasti out. Il primo è Teo, che è stato a Sanremo nel 1987, e che aveva tentato di promuoversi pubblcizzando un flirt con Benedetta Crocco. Il suo album QUANTE VOLTE MI SONO VOLTATO A GUARDARE IL CIELO, essendo i pezzi dei fratelli Castellari, era assai gradevole e l’ho ascoltato abbastanza. Voce alla Lloyd Cole. Il secondo era Stefano Ruffini, una bellissima e ampia vocalità, scoperta di Grazia Di Michele, ha fatto i Sanremo 1988 e 1989, una persona piacevolissima, andato via in un modo assolutamente silenzioso.

venerdì 7 novembre 2008

Grandezza e Fascino Di Nani


PERCHE’ I NANI

Ho pensato di parlare dei nani forse attratta dall’essenziale mistero della natura: se la natura parli di più con la bellezza e l’armonia, o se invece all’opposto, se così si può dire, parli di più con la disarmonia, la deformità e la diversità. Questo ultimo concetto, la “diversità”, spesso non coincide con quello di bruttezza e rappresenta spesso soltanto un discostarsi dell'essenza spirituale o fisica della persona da una cosiddetta “norma”; questa è poi anch’essa tutta da definire e da verificare. E’ infatti difficilissimo stabilire i confini di cosa sia veramente normale; se ne può avere un’idea, si può fare un elenco di caratteristiche di massima, ma non si potrà mai codificare un decalogo senza sembrare almeno un po’ ridicoli e giustamente esporsi a ogni tipo di meritata critica, specialmente di questi tempi… Il giudizio sulla normalità è quindi il più delle volte basato soltanto sulle impressioni, come se la normalità fosse realmente solo un salvagente per rassicurare alcune categorie di persone che hanno in comune di ripetere più spesso un comportamento “normale” piuttosto che uno “anormale”. In più c’è da dire che anche tra “diversi” si instaurano una serie di decaloghi e comportamenti che hanno qualcosa di tremendamente convenzionale; così, di contro, tra i cosiddetti normali, se andiamo a vedere bene (e la cronaca ne è piena), stranezze e pazzie non si misurano più, spesso più pericolose proprio perché fino a quel momento nascoste. Il mio ideale è quindi, per inciso e a prescindere da come si è e quanto ci si possa definire normali o anormali, tendere alla sobrietà, alla misura, all’equilibrio e all’armonia, e così via.


PERCHE’ SI E’ NANI

Ma torniamo ai nani, ho scelto di parlare di loro, perché tra i cosiddetti “scherzi” della natura sono uno dei più curiosi. Certo al cosiddetto circo-museo di Phineas Tylor Barnum ne avremmo potuto trovare per tutti i gusti, oltre naturalmente al nano Tom Thumb, alla schiava 161enne di Barnum Joyce Heth e all’elefante Jumbo, individui con un gemello siamese rimasto attaccato e mai nato, giganti, donne barbute e varie altre figure acondroplasiche, tutte esibite per fare spettacolo e divertire il pubblico; senz’altro, come mi è capitato di sapere per conoscenza diretta, mettere al mondo un figlio nano non è invece e senz’altro un evento che metta granché di buon umore. E di fronte a un fatto del genere ci si chiede, perché proprio a me, perché? Si nasce nani per vari motivi ma curiosamente si nasce nani “armonici” (il nanismo ipofisario e il nanismo di Laron) o “disarmonici” (i nanismi causati da ipotiroidismo o da acondroplasia o dalla sindrome di Turner); già questa ripartizione dà una strana idea di come la natura giochi con la deformità creando al suo interno delle creature “proporzionate” o “sproporzionate”. I nani “armonici” infatti rimangono coerenti nelle dimensioni, quelli “disarmonici” hanno invece gli arti sproporzionati rispetto al busto. Il nanismo armonico può sussistere per causa di tre sindromi: 1) nanismo ipofisario detto anche ipopituitarismo, una disfunzione ormonale dell’ipofisi per cui risulta quasi assente l’ormone della crescita; 2) il nanismo di Laron, piuttosto infrequente, ma che ha degli effetti molto simili all’ipopituitarismo, se non fosse che dipende da una specifica carenza ereditata con meccanismo autosomico recessivo dell’ormone proteico “somatomedina” prodotto dal fegato; 3) la bassa costituzione ereditaria. Il nanismo disarmonico ha tre modalità: 1) acondroplasia, disordine genetico autosomico dominante, che provoca una crescita ridotta degli arti rispetto al resto del corpo; 2) nanismo primordiale, piuttosto raro e il più grave tra le forme di nanismo, circa 100 casi in tutto il mondo, l’organismo risulta già sottodimensionato dal concepimento, non ne è nota l’origine e non esistono cure, inclusa la somministrazione di somatropina (ormone della crescita) dato che non dipende dal malfunzionamento delle ghiandole che la producono; 3) sindrome di Turner, che dipende da vari tipi di alterazioni cromosomiche, in primo luogo dovute all’irregolare accoppiamento dei cromosomi durante la meiosi.

NANI NEI SECOLI


Facendo un breve passaggio dalle antiche civiltà fino ad oggi è interessante vedere quale differente ruolo e significato venga attribuito nelle varie società ai nani, posto che si nota che più è alto il livello di civiltà e maggiore risulta la considerazione delle loro attitudini, passando da ruoli di dignitari delle corti a consiglieri dei sovrani in società più evolute, oppure dal versante opposto, buffoni, o addirittura esseri malvisti e malefici. Nani, ad esempio, sono rappresentati come simbolo della fecondità in alcune raffigurazioni della fecondità femminile dell’età Paleolitica (valle del Danubio). Nell’antico Egitto il nano Seneb era sacerdote e dignitario alla corte dei faraoni Cheope e Gedefra, e sovraintendente dei nani di corte, anch’essi applicati in varie attività artigianali e specialistiche; numerose le raffigurazioni di nani nelle tombe egizie e dello stesso Seneb in un gruppo scultoreo di famiglia, i nani in Egitto erano protetti dal dio Bes, protettore della casa e della famiglia, con sembianze tra scimmia e nano, e considerati emanazione delle divinità Ra e Horus, connessi al culto solare per il loro aspetto giovanile e quindi ben considerati anche dal popolo. Nano era anche il dio Ptah, con pancia e gambe storte e associato alle divinità fenicie Pataicoi e al dio Efesto, nume tutelare della morte e protettore dei nani orafi in Nubia, regione assai ricca di giacimenti auriferi. I nani infatti, in virtù della loro conformazione minuta, erano in questa regione apprezzati orafi, cesellatori, intagliatori, smaltatori, ecc.

Anche nell’antica Grecia i nani hanno un ruolo positivo, collocati nei culti dionisiaci, i “demoni kourotropici” erano protettori dei bambini dispensatori di fertilità. Nel complesso però la civiltà ellenica, manifesta verso le deformità un maggiore disagio, essendo orientata all’esaltazione ed al culto dell’armonia, bellezza e perfezione fisica. La concezione platonica e la stessa medicina ippocratica tendevano infatti a una società di individui perfetti e la deformità doveva essere relegata lontano dagli occhi del mondo. A Roma invece, mentre nell’età regia e repubblicana le deformità venivano bandite ed eliminate, nell’epoca imperiale i nani furono oggetto di rinnovate attenzioni, ammessi a ruoli importanti a fianco degli imperatori, (in particolare Tiberio e Domiziano) come consiglieri e accompagnatori; frequentemente rappresentati negli affreschi domestici , coinvolti in più amene manifestazioni pubbliche in cui si esibivano lottando tra loro, o contro donne o in buffe e grottesche simulazioni di caccia (Venationes) ; ma anche diffusissimo era l’uso delle matrone di usare i nani come accompagnatori o buffoni; addirittura, attraverso un procedimento crudele, in taluni casi si chiudevano in casse i bambini per accrescerne artificialmente le deformità ed aumentare il valore sul mercato (glottoxoma). Con la decadenza dell’impero venne meno questa familiarità, ma questa crescente avversione confluì nella nascente etica cristiana: il rapporto con le deformità ebbe tutt’altra lettura, visto come una delle espressioni, anche se negativa, del divino e della grandezza del Signore. L’anormale si identificò con il “senza legge”(da “anomalos” a”animos”) e gli “anormali” esclusi dal valore sociale, oggetto di carità e assistenza ma anche sofferenti in quanto malati, e peccatori con le loro colpe da espiare.


Nani erano accomunati alle meretrici, ai malati di mente, ai malviventi, ebrei ecc. ecc. Intanto si dedicavano principalmente al mestiere di artisti ambulanti come buffoni nani, usando la loro vis comica proprio attraverso la deformità (come anche i buffoni gobbi); come si trattasse di una forma di arte illecita colpevole di diffondere la cultura profana, i buffoni nani erano perseguiti per legge. Queste vicende portarono man mano a marcare la differenza tra buffoni di strada (comici clandestini) e giullari di corte (regolari). Con il Rinascimento, i nani vengono di nuovo e di più ammessi al prestigio delle corti, considerata la loro fine intelligenza, richiesti come consiglieri e confidenti, così nelle corti delle città italiane, come presso i sovrani spagnoli, polacchi e per altri due-tre secoli. Nella cultura tedesca c’è invece da dire che il nano ha una raffigurazione appunto più teutonica, più aggressiva e , in qualche modo, arcana.


NANI NEL MONDO FANTASY

Nel mondo della letteratura fantasy, che trasfigura le attitudini negative dell’uomo e le fa apparire come qualità, i nani sono considerati una razza a parte, un popolo di guerrieri, schivi, malinconici, severi, burberi e irascibili, d’altro canto avidi e sospettosi. Indossano armature e combattono con le armi che loro stessi hanno fabbricato. Il loro aspetto è curato e rude allo stesso tempo; muscolosi e barbuti, così gli uomini come le donne nane. Il riferimento è alle immagini dei Vichinghi ovviamente “in miniatura”. Nano dal greco “Nanus”, People per gli irlandesi, Korrigez per i bretoni, Lutin per i francesi. Jung li identifica come “guardiani dell’inconscio”. Leali come

compagni di battaglie ma anche temibili come nemici. La letteratura fantasy, e in primis Tolkien, e una certa scuola di g.d.r. (giochi di ruolo) danno un posto di rilievo ai nani, a volte associandoli o perfino confondendoli con gli elfi; i temi sono fedelmente attinti dalla letteratura mitologica nordica e in particolare scandinava, dal mara svedese e/o dal folklore celtico. Elfi e nani nascono dalle carni del gigante Ymir, ucciso da Odino, Vè e Vili; dalle ferite del gigante fuoriuscì una tale marea di sangue da annegare i giganti “Thurse” dei ghiacci che erano troppo anziani per nuotare; sopravvisse un solo gigante, Bergelmir, che garantì la prosecuzione della stirpe e una nuova generazione di giganti. Il cadavere del gigante ucciso fu gettato nell’abisso dell’oblio, e i resti furono oggetto di uno scientifico quanto fantasioso riciclaggio (la carne diventò concime, capelli, barba e sopracciglia divennero foreste e boschi e opere difensive contro i nuovi giganti, il sangue fu convogliato verso fiumi e torrenti); ma dopo un po’ dai resti brulicavano popoli di

vermi; a quel punto Odino e gli altri dei decisero di attribuire loro forme umane, volto, voce, forza fisica, doti, particolarità e capacità magiche e divine. In questo generarsi creativo si disegnarono creature più positive, gli elfi bianchi, elfi della luce, i Ljossalfar, gli elfi neri, , gli Svaltarfar, e i più misteriosi Dokkalfar, gli elfi oscuri. L’apparente riferimento alle forze positive e negative, nell’insieme è smentito dall’intercambiabilità di queste funzioni nell’uno o nell’altro gruppo di elfi-nani. Tutti infatti hanno la stessa potenzialità di apportare benessere ma anche di suscitare pazzia o malattia. Questo aspetto fa riflettere: nella loro storia e nelle loro vicende i nani hanno manifestato sia una natura benevola e propiziatoria, sia l’emanazione di qualcosa di malevolo. Questa doppia natura non è, a mio avviso una prerogativa dei nani, ma di tutti gli esseri viventi. Così anche l’immagine dei nani che ci è stata tramandata è sicuramente più opera degli occhi di chi li vedeva piuttosto che di loro stessi.

Per quanto riguarda i “Nani del Caos” ve li lascio e ve li andate a cercare.




NANI NEL CINEMA


In questa prospettiva è interessante, per chiudere questo post, una bella carrellata dei film che hanno, in primo o secondo piano, una presenza di nani. In tutti questi film, se pensiamo, sono passati centinaia di attori nani, il cui requisito non è mai potuto essere esattamente quello di essere dei bravi attori bensì di partecipare principalmente in virtù della loro caratteristica. Ne ho visti diversi di questi film e man mano mi sono sempre più innamorata dell’argomento. Anche qui, si passa dall’esaltazione della bontà e solidarietà tra deformi in Freaks

(1932) alla perversa e incontrollata irrazionalità malefica e smodata di Herzog in “Anche i Nani Hanno Cominciato Da piccoli”, dalla commovente

virtù in “Frankie delle Stelle” alla orribile rappresentazione di un nano (ma forse era solo basso) ne “L’Imbalsamatore” un po’ viscido, corrotto, possessivo e subdolo, che "giustamente" deve essere sopraffatto dalla “normalità” trionfante e purificatrice. E così via passando per una bella serie di porno ad esaltare le notorie doti falliche e sessuali dei nani, ai gialli e thriller dario argento, agli horror, al genere mostro, alle commedie, ai comici e ironici. I nani, attraverso generi tanto lontani tra loro, hanno sempre un ruolo ben definito.

In appendice riporto un accurato riepilogo dei film che sono riuscita ad assemblare e non tutti mi è stato possibile vedere (grazie anche al forum di "Cinema Bis", risultato prezioso per la mia ricerca).


UN COMMENTO, INFINE

Come sostiene il Protagonista de “In Bruges”, secondo lui i nani avrebbero una reiterata tendenza al suicidio; Herve' Villechaize, l’attore di “Fantasy Island” lo ha fatto. Degli altri non sappiamo, ma senz’altro purtroppo la speranza di vita non può essere eccessiva. Da un altro lato non possiamo dimenticare il tentativo di Claudio Aprile, nano circense, che fu ingaggiato, senza successo, per salvare una vita; per Alfredino Rampi, caduto in uno strettissimo pozzo artesiano. Era il 1981.

Penoso sembra invece il frequente utilizzo da certi personaggi “progressisti” della parola nano o del rafforzativo “psico-nano” per etichettare dispregiativamente l’odiato leader della destra governativa. Certo questo utilizzare una condizione (senza cadere nel pietismo) di un genere di individui, la dice lunga sul livello di certa pseudo opinione politica.

Per concludere, doverosamente cito le rime di un grande autore, che non amo ma che stimo, e che sull’argomento ha dipinto un quadro irripetibile.

Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura, ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente,
o la curiosità di una ragazza irriverente che si avvicina solo per un suo dubbio impertinente:

vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani, che siano i più forniti
della virtù meno apparente, fra tutte le virtù la più indecente. Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti, è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti; la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo fino a dire che un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del cu...
Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore che preparai gli esami. diventai procuratore per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale porta alla sacrestia quindi alla cattedra d’un tribunale,
giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male. E allora la mia statura non dispensò più buonumore a chi alla sbarra in piedi mi diceva Vostro Onore, e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio, prima di genuflettermi nell’ora dell’addio non conoscendo affatto la statura di Dio.


FILM CON NANI


2019 Dopo La Caduta Di New York

Anche I Nani Hanno Cominciato Da Piccoli

Babbo Bastardo

Baby Sitter (Il Nano Erotico)

Balsamus - L'uomo Di Satana

Bianca Neve Sotto I Nani

Cobra Verde

Così Nano Così Perverso

Don't Look Now - A Venezia Un Dicembre Rosso Shocking

El Topo

Festa Col Nano

Frankie Delle Stelle

Freaks

Guerre Stellari

Il Signore Degli Anelli

In Bruges - La Coscienza Dell'assassino

Funeral Party

Phenomena

Il Tamburo Di Latta

La Vera Storia Di Mork E Mindy

Io, Me & Irene

L’imbalsamatore

La Montagna Sacra

La Nave Dei Folli

Le Avventure Erotix Di Cappuccetto Rosso

Lo Zio Di Brooklyn

Malamore

Non Ho Sonno

Quel Nano Infame

Quella Villa In Fondo Al Parco - Ratman

Sharon's Baby

Terror! Il Castello Delle Donne Maledette

The Minis ... Nani A Canestro

White & Seven Dwarfs

Willow

Zombi Horror-Le Notti Del Terrore

Le schede dei film si possono richiedere a: margotm7@gmail.com